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I diletti delle muse. Antonio Ongaro: Poëta perfacetus ac dulcis (Padova 1560-Valentano 1593)

I diletti delle muse. Antonio Ongaro: Poëta perfacetus ac dulcis (Padova 1560-Valentano 1593)
Titolo I diletti delle muse. Antonio Ongaro: Poëta perfacetus ac dulcis (Padova 1560-Valentano 1593)
Autore
Collana ALTRE PUBBLICAZIONI
Editore C&P Adver Effigi
Formato
Formato Libro Libro: Copertina morbida
Pagine 416
Pubblicazione 02/2021
ISBN 9788855241571
 
25,00

 
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Completati gli studi universitari a Palazzo del Bo di Padova nel 1578, Antonio Ongaro (Unghero, nella forma arcaica), aveva appena compiuto 18 anni e s'era laureato in Legale, così era definita allora la specializzazione in giurisprudenza. Sicuramente non dovette essere semplice, per un giovane alle prime armi, ricercare un adeguato impiego, nella città natia o, forse pensare alla ricerca di un trasferimento in altro luogo ove i propri famigliari potevano avere dei riferimenti di conoscenza di personaggi capaci di comprendere la valenza di un giovane con questa preparazione. Trasferitosi a Roma, trovò accoglienza presso il palazzo della famiglia spagnola Ruiz, tanto che poi lo stesso Antonio dedicò loro il poemetto Hospitium Musarum, e in seguito addirittura la prima favola piscatoria della letteratura italiana, l'Alceo. È doveroso aggiungere, come scrive il primo biografo che, durante il corso universitario, l'Ongaro era sì iscritto nella specialità "legale" ma certamente preferiva i diletti delle muse, cioè s'era dedicato probabilmente, piuttosto che alle norme della giustizia, alla composizione di poesie, canzoni e favole in rima. L'Università stessa era frequentata da poeti e scrittori tra cui il Tasso, di cui l'Ongaro divenne un seguace e, a Palazzo Ruiz trovò altri poeti come il "Cavalier" Giovan Battista Marino e musicisti come Luca Marenzio che musicò proprio alcuni suoi madrigali. Di lui restano sostanzialmente composizioni poetiche che lo resero noto e famoso nel tempo breve della sua esistenza, se consideriamo che morì appena trentatreenne mentre era al servizio del Signor Mario Farnese, titolare del ramo cadetto della famiglia Farnese, lasciando scritto testualmente di essere morto giovane d'anni ma vecchio per fama.
 
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