Zephyro Edizioni: Anelito

"Dopo nove mesi da nomade, lasciando il Magic Bus a far da casa sicura in Chiapas, con un gruzzolo là, dentro le tasche qua il sufficiente per i biglietti e per sopravvivere, - e nel bagaglio c'erano argento e borsini guatemaltechi, - mi sentivo libera più di un uccello migratore, più del gabbiano Jonathan Livingston. Sarebbe stata una trasmigrazione: dopo aver vissuto come una selvaggia, una ribelle, una eversiva ritornavo nella civiltà, nelle usanze e nei costumi. Per la terza volta in un anno cambiavo realtà: la partenza - il viaggio - il ritorno, un vero parto. Il figlio era stato il bus, il nomadismo, l'autodeterminazione; ma adesso era anche la nostalgia, il ricordo, il desiderio di ritrovare le donne, le amiche, le compagne". Con Corsiero Editore sono già usciti "L'altro universo. Il nomadismo. Grandi Donne Vol. 1 e 2".

I ricordi di una maestra in pensione sono pieni di tante piccole storie di alunni indimenticabili. Da quando l’autrice era una maestra inesperta i tempi sono evoluti, le normative si sono complicate, eppure il lavoro nella scuola per l’infanzia è rimasto quasi esclusivamente coniugato al femminile. Misconosciuto alla maggior parte della gente, inaccessibile e misterioso quanto quello di un gruppo di suore di clausura. Finalmente una maestra lo racconta, minuziosamente e con schiettezza. Propone un’ipotesi nuova sulla violenza di alcune insegnanti. Rivela che ogni ragionamento sui bisogni fondamentali del bambino rispecchia e prelude i problemi degli adulti. Esperienze che si snodano, tra entusiasmi, delusioni e nuove scoperte determinando nel tempo una forma personale di consapevolezza, che può definirsi maestria.

La vita è un viaggio che il protagonista Andrea affronta con coraggio e spirito di autocritica. Solo capendo chi è veramente, potrà ripartire da dove il normale corso della sua vita era stato interrotto. “Ora sento che è venuto davvero il momento di cambiare rotta e lo vorrei fare ricominciando dal giorno prima della partenza per Capo Nord”.

Quali segreti nascondono i percorsi delle bolle di sapone? Sono forse dotate di una voce? Di un pensiero? Hanno un’anima? Perché il loro volo, talvolta, sfugge al nostro sguardo? Uno sguardo sognante nel mondo magico e misterioso delle bolle di sapone, considerate come delicate creature dotate di coscienza. La seconda parte del libro, intitolata Le creature della notte, ospita una raccolta di racconti in forma di monologo, a carattere fantastico. Voci di ombre, viandanti e animali del bosco.

Presso l’Ufficio Postale di un paesino di montagna viene rinvenuto fra la posta in giacenza un plico sprovvisto dell’indicazione sia del mittente che del destinatario. L’impiegata, addetta al vaglio della posta da inviare al macero dopo dieci anni di giacenza, è presa da un impulso a tutta prima insensato. In effetti questa donna, grazie a una intuizione apparentemente incomprensibile, sente una forte attrazione verso il contenuto del plico e se ne appropria. Da qui in lei ha inizio un itinerario lungo i sentieri dell’Anima, grazie agli intrecci che man mano si formano fra le diverse vicende umane narrate nel plico. Ricordi, visioni, riflessioni su tematiche fondamentali, quali il significato del bene e del male, della morte e dell’amore, compongono la sua ricerca di senso, in un crescendo di esperienze catartiche, volte a far sì che l’intera avventura umana di una donna anonima si inscriva nella vicenda umana universale, secondo il principio di sincronicità dell’accadere comunemente definito ‘destino’.

Nella tranquilla e ridente vallata di Pont d’Arc la vita scorre serenamente sino a che, una calda mattina di luglio, gli abitanti si risvegliano con la città completamente ricoperta di neve. Ma nulla è come appare. La neve, che neve non è, così come le quiete giornate o la compiacente cordialità degli abitanti nascondono segreti e colpe che ciascuno tiene nascosti persino a se stesso. Quando l’imponderabile si manifesta è per rompere lo schema precedente: la perturbazione non può essere ignorata, sarebbe come rifiutare un dono che arriva dal cielo. Soltanto l’innocenza di un bambino, con l’aiuto di una lente magica, svelerà all’amico Sindaco la vera natura degli abitanti. Solo cinque di essi, in un incontro sospeso tra sogno e realtà, si misureranno con le loro ombre così che la vita, per ciascuno di loro, non potrà più tornare ad essere quella di prima.

Un avvenimento cambierà per sempre l’esistenza di cinque ragazzi. Un dono esclusivo che mette in relazione uomini e vegetali per mezzo di una pianta scrivente: è nata Plantavilla! Non tutti vedono di buon occhio questa rivoluzione. Il Principe Thore cercherà di far fallire il progetto. Sarà compito di Porfidio Bloom e dei Valorosi sventare il malefico disegno tra viaggi di scoperta, incontri rivelatori, personaggi singolari e il magico passaggio nell’eden di Fertilandia.

È sempre stupefacente come la verità dica se stessa con tanta semplicità in coloro che la vivono in sé come assoluta realtà. Così l’autrice, con pochi tratti della sua penna, traccia un disegno la cui prospettiva infinita addita una ben più ampia dimensione dell’essere, rispetto a quella in cui noi ci percepiamo nell’immediato, nella quale si fa evidente come la giustizia coincide con la verità. Una verità che è ben al di là di quella che il nostro occhio miope riesce a vedere nel mettere a fuoco il particolare e che, separandolo così dall’universale, dà luogo a sua volta, a quella diplopia che sdoppia la realtà nel bene e nel male. Secondo un criterio sempre rivolto all’interesse personale, anche se il personale si può allargare ad abbracciare un dato sistema sociale e financo l’intero sistema umano. La verità che viceversa si evidenzia nella prospettiva che Anna Cellamaro addita è quella di una totalità relazionale nella quale i nostri eventi esistenziali si intrecciano sincronicamente nell’unica dinamica evolutiva che va verso la realizzazione della coscienza universale dell’essere… (Dalla Postfazione di Silvia Montefoschi).

È un romanzo che partendo dalla prima Crociata, storicamente documentata, narra della famiglia da Fiesole, famiglia di medici e alchimisti, le cui vicende si snodano lungo due secoli circa, intrecciandosi con gli avvenimenti storici che li hanno caratterizzati in Oriente e in Occidente. È Albert da Fiesole che dà inizio a questa lunga dinastia e sarà sempre lui che trasmetterà un lascito ‘prezioso' ai suoi discendenti. Storia e invenzione rimandano continuamente l'una all'altra e dipingono un affresco avvincente dei rapporti e degli scambi fra esseri umani di Oriente e Occidente, dando del Medioevo un'immagine ricca e composita, da cui emerge nitido il quadro di un'epoca caratterizzata, oltre che da aspetti oscuri e superstiziosi, anche dall'emergere e dall'affermarsi di un grande afflato culturale, ideale e religioso che segna di sé tutti gli aspetti sociali di quell'epoca e delle epoche successive.

Un esteso dialogo, all’ombra di un salice, è ciò che incatena la parola di Crisantemi, intima adepta di Dio, all’ingenuo candore di Doriano, rappresentante di un’umanità perduta e dal florido entusiasmo. Sarà il pensiero, a volte lucido, a volte opacizzato che legherà la fierezza di lei al timido intelletto di lui, in un selvoso percorso composto da dubbi, timori e instabili certezze. Una sola grandiosa energia sarà in grado di far tremare la divina Crisantemi: l’Amore.

«È con vero piacere che presento questa insolita composizione letteraria costituita da una lettura biblica relativa all’episodio drammatico del voto sacrificale a Dio del giudice Iefte, che costò la vita a sua figlia, fatta dalla pastora Eliana Briante, volta a riflettere criticamente sui punti ciechi e distruttivi della fede o del modo di concepire la fede e il piano divino che s’intende portare avanti; e dalla sceneggiatura teatrale di una seduta analitica immaginaria, fatta dall’analista Baldo Lami, volta a esplorare la possibilità che all’interno di una relazione terapeutica, di ascolto d’anima, si possa far rientrare un punto cieco, della fede come dell’amore o della ragione, verso la sua naturale matrice umana da cui si era staccato per un’espansione abnorme del proprio ego, disumanizzandosi, e di cui poi si farà carico Cristo sul piano universale». (Dall’Introduzione di Maria L. Mastrantoni).

"Guardare il mondo da un oblò" è un modo di vivere che Laura, giovane fotografa milanese, conosce bene e che si è costruita intorno, nel tentativo di tutelare sé stessa e la propria libertà. Stare alla finestra, osservare persone e situazioni senza entrarvi in contatto la fa sentire sicura e protetta, non obbligata a relazionarsi con persone che non le piacciono, fiduciosa nella possibilità di essere lei a regolare i modi e i tempi in cui gli altri la avvicinano. Durante i mesi di un inverno rigido e difficile per la mancanza di lavoro, Laura si rende conto che non può trattare sempre se stessa come se fosse la sua macchina fotografica, il cui diaframma si apre e si chiude a comando: alcuni incontri e situazioni la faranno riflettere sui limiti del modo con cui conduce la propria esistenza, e le mostreranno che si può vivere in un modo diverso, liberi, senza essere prigionieri del proprio bisogno di libertà.