Donzelli: Saggine
Italia minima. Sogni, emozioni e rabbia di un paese in movimento (1943-2023)
Maurizio Ciampa
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 224
Quella che avete tra le mani è una storia d’Italia, che si apre nella Napoli occupata dai nazisti e arriva fino ai nostri giorni, sulle coste di Cutro. Tuttavia, è una storia «scompigliata», cronologica ma non ordinata, nella quale i grandi eventi scorrono lontani, restando quasi sullo sfondo. Al centro del racconto c’è invece la «policroma umanità» che abita la storia, c’è la vita, o meglio le vite, di chi quegli eventi ha attraversato, portandone i segni nel proprio corpo e nella propria memoria. Esistenze minime, spesso dimenticate, ma capaci di raccontare, insieme, l’anima di un paese. «Della Storia – scrive Maurizio Ciampa – ci sono le briciole rimaste sulla sua tavola, i resti: il vapore caldo dei sogni, l’alito acre dei fallimenti, i battiti ardenti delle speranze, gli sferzanti colpi delle pene, e i suoni e le voci della vita che passa». "Italia minima" raccoglie così le paure, le aspettative, le irruzioni di felicità e gli schianti di rabbia che hanno accompagnato il cammino di un paese che, nell’arco degli ottant’anni qui considerati, da «straccione» qual era è diventato un paese moderno, ma ricco di contraddizioni. Dalla voglia di ballare dell’Italia del dopoguerra ai desideri di emancipazione delle donne, dai sogni del boom a quelli degli emigranti, dalla nostalgia del passato contadino ai ricordi degli operai, dall’incubo dei manicomi alle visioni di futuro, Ciampa invita il lettore a seguirlo tra le emozioni e i sentimenti che nel tempo hanno caratterizzato l’Italia come «comunità emotiva». Solo in questo modo, sostiene l’autore, è possibile recuperare quella dimensione «umana» della storia che solitamente tende a scomparire. Così, in questa biografia corale e collettiva, composta da schegge e frammenti, la scrittura si fa custode di cose e persone, ascoltando le pulsioni della vita e trattenendole, restituendo ad esistenze sommerse la propria voce.
Se socialdemocrazia è una malaparola. Le sei Caporetto della Sinistra italiana (1919-2022)
Massimo L. Salvadori
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 96
Una Sinistra intesa a perseguire i valori, i principî e gli obiettivi della democrazia, della rappresentanza politica e della difesa sociale del mondo del lavoro in Italia ha ancora storicamente senso e un possibile avvenire? E se sì, su quali basi? Partendo da questo interrogativo, Massimo L. Salvadori tocca il cuore stesso dell’esistenza di un partito di Sinistra in Italia. Cosa vuol dire, oggi, essere di Sinistra? Nelle sue molteplici incarnazioni la Sinistra è stata invariabilmente respinta dalla guida del paese, subendo una serie di ininterrotte Caporetto: nel 1919-1922, ad opera del fascismo; poi, nell’aprile 1948, la sconfitta che inaugurò il lungo regno della Democrazia cristiana e dei suoi alleati; ancora, nel 1994, la vittoria di Berlusconi e l’inizio del suo ventennio al potere; passando, nel 2013 e nel 2018, per l’affermazione del Movimento 5 Stelle e poi della Lega; fino all’ultima, clamorosa Caporetto, nel 2022, che ha consegnato le redini del potere ad una Destra di matrice neofascista. In questa ormai lunga storia di occasioni mancate, di svolte in cui sembrava esserci la possibilità di diventare maggioritari e invece si è assistito all’esatto contrario, Salvadori ravvisa una costante: la «separatezza» della Sinistra dalla maggioranza degli italiani che, nei momenti di crisi dei sistemi politici, ne hanno rigettato gli orientamenti, schierandosi a favore di correnti politiche e sociali di volta in volta di centro, populistiche o addirittura di destra. Arrivando all’oggi, tuttavia, l’analisi si tinge di qualche speranza, qualora il PD di Elly Schlein, come ha dimostrato alle elezioni europee del 2024, si riveli capace di superare la distanza del partito dai ceti soprattutto popolari – ma non solo – che non si sentono più da esso rappresentati. Solo assumendo la fisionomia di una forza riformistica autenticamente socialdemocratica il PD potrà superare questa condizione di separatezza, di estraneità, dal corpo sociale e scongiurare in futuro nuove Caporetto.
L'Italia s'è desta. L'inno di Mameli: un canto di pace
Massimo Castoldi
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 192
«Il rapporto conflittuale degli italiani col proprio inno nazionale era ed è un sintomo evidente della relazione difficile, spesso imbarazzante, con la propria storia e soprattutto con quella più recente, di un popolo che ancora oggi stenta a riconoscere il filo rosso che lega le nostre battaglie risorgimentali all’antifascismo, alla Resistenza e ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale». Fin dal suo primo apparire l’inno di Mameli ha conquistato gli italiani, che subito lo hanno riconosciuto e sentito come espressione autentica del loro desiderio di unità e libertà. Vicende storiche e un linguaggio di non immediata comprensione hanno poi contribuito a oscurarne il messaggio di pace e di fratellanza, che lo distingue da altri inni più celebrati, a cominciare dalla Marsigliese. Il libro di Massimo Castoldi ci accompagna alla scoperta del significato autentico del testo, liberandolo dalle incrostazioni del tempo. Ci restituisce le prime redazioni autografe e a stampa e porta alla luce il ricchissimo patrimonio di fonti che lo hanno nutrito, svelando l’intreccio di ispirazioni e suggestioni, colte e popolari, celate nei suoi versi. Scritto a Genova nel 1847 sotto l’influsso di ideali mazziniani e repubblicani – e presto musicato da Michele Novaro –, seguì il suo giovane autore sulle barricate delle Cinque giornate di Milano, fino alla morte nella difesa della Repubblica romana del 1849. Cantato dai Mille di Garibaldi, celebrato da Carducci e Pascoli, fu ammirato da Verdi e da Toscanini. La monarchia gli preferì la Marcia reale e il primo fascismo lo mise al bando, salvo poi strumentalizzarne alcuni versi in direzione violenta e xenofoba. Parte della Resistenza lo fece proprio. Nel ’43 fu cantato dai confinati a Ventotene, mentre andavano verso la nave che ridava loro la libertà, e in questo spirito fu proposto come inno nazionale all’indomani del referendum da cui nacque la Repubblica. Era però una disposizione provvisoria. E nel secondo dopoguerra, tra individualismo crescente e perdita di sentimenti collettivi, periodicamente l’inno fu al centro di critiche, dibattiti e appropriazioni maldestre. Parodiarlo era diventato un vezzo di una parte della cultura di sinistra, cantarlo sull’attenti una consuetudine diffusa dell’estrema destra. Non è un caso se si è dovuto aspettare il 2017 perché fosse ufficialmente riconosciuto come inno nazionale: la storia della ricezione dell’inno di Mameli è anche e soprattutto la storia della controversa relazione degli italiani con l’idea di patria.
Tra le nebbie della P2. Memorie inedite di un capo dei Servizi
Pasquale Notarnicola
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 160
«Sono orgoglioso di aver fatto tutto il mio dovere a favore della patria e di non appartenere a quel gruppo di traditori che, nonostante il giuramento solenne prestato all’inizio della carriera, si è poi volto all’obbedienza di una loggia massonica segreta che certamente è la responsabile di tutti i depistaggi avvenuti nel corso e a seguito delle varie stragi». Dopo la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), il paese prese consapevolezza dell’esistenza di una «strategia della tensione» che mirava a erodere le basi dello Stato democratico. Da quel primo attentato fu un susseguirsi di eventi sanguinosi, mai chiariti fino in fondo: dalla strage di Peteano a quelle di Ustica e di Bologna. Questi eventi non solo hanno destabilizzato fortemente la convivenza civile, ma hanno pure condizionato la storia del paese fino ad oggi. Di queste vicende parla con grande chiarezza il generale Pasquale Notarnicola, ai vertici del SISMI (Servizio di sicurezza militare) dal 1978 al 1983. Nelle sue memorie, oggi pubblicate per la prima volta, ricostruisce dall’interno una pagina tragica della storia italiana. Per molti anni, i processi per definire le responsabilità hanno visto una sorprendente alternanza di assoluzioni e condanne, tra depistaggi, falsificazioni e omissioni, dando all’opinione pubblica l’impressione che non si potesse mai arrivare alla «verità». Ma le inchieste sono proseguite e, anche grazie alle testimonianze di servitori dello Stato come Notarnicola, molte responsabilità sono state chiarite. Oggi infatti sappiamo che l’obiettivo della strategia della tensione non era ricostituire uno Stato autoritario, ma delegittimare il Partito comunista per impedirgli di avvicinarsi al governo, accusandolo di essere responsabile del caos che stava colpendo il paese. Inoltre, abbiamo certezza che i vertici dei servizi segreti e gruppi neofascisti come Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e i NAR hanno intrecciato la loro attività eversiva con quella dei Servizi segreti di alcuni paesi stranieri, delle Forze armate, del mondo politico e di organizzazioni internazionali come la loggia massonica P2, con i suoi ulteriori e oscuri intrecci con la criminalità organizzata. Il generale Notarnicola entra nelle pieghe più oscure di questi intrecci con la sua esperienza diretta, a tratti sconvolgente per il livello intricato di infiltrazione nei gangli vitali dello Stato da parte della P2 e del suo capo, Licio Gelli. Tuttavia, secondo Notarnicola, Gelli era solo la pedina di un sistema più grande e a lui superiore, così potente da ostacolare il generale nella sua attività investigativa, ostracizzarlo, depistarlo, per allontanarlo dalla verità. Angelo Ventrone – storico e studioso dei fenomeni eversivi nel nostro paese – ha ascoltato Notarnicola come testimone diretto di una stagione terribile, che tarda a farsi storia ma che deve essere portata alla luce perché la vita democratica possa proseguire senza ombre.
Bertrand Russell. Tra liberalismo e socialismo
Gaetano Pecora
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 256
«Che magnifico paradosso: c’è un autore che si raccoglie sotto la bandiera del liberalismo; che anche nel passaggio al campo socialista assicura di non averla mai ripiegata quella bandiera; un autore che ha ispirato i suoi comportamenti al più schietto individualismo; c’è un autore che poi, per procurare un fondamento ai valori etico-politici, per rinserrare l’opzione socialista nel fortilizio dell’oggettività, finisce per aggirarsi nei territori dell’organicismo, ossia di quel sistema di pensiero che dell’individualismo liberale è la più clamorosa negazione». Bertrand Russell non è stato solo un grande logico matematico. È stato anche un pensatore politico che molti suoi esegeti hanno voluto inscrivere nel firmamento del socialismo liberale, ossia di un socialismo che svolge e non capovolge gli assunti del liberalismo. Tuttavia si tratta di un errore di prospettiva, di un equivoco, che il libro aiuta a correggere, smentendo questa specie di scivolo che lascia placidamente trascorrere dal liberalismo al socialismo. Ricorrendo anche a citazioni testuali – alle quali troppo spesso è stata data la sordina –, Gaetano Pecora dimostra che nel pensiero di Russell tra le due cose, tra il liberalismo e il socialismo, c’è la rottura, c’è il salto che ne strapazza i ragionamenti e lascia nel lettore un’impressione divisa. Divisa soprattutto quanto al socialismo che, per le suggestioni anti-proprietarie cui Russell più volte cedette, si pone in cruda alternativa con quel liberalismo che pure fa bella mostra di sé in altre parti del suo magistero. In questo senso Russell si posiziona effettivamente tra il liberalismo e il socialismo; sta tra l’uno e l’altro perché in bilico su un equilibrio precario di pensieri che spesso stridono tra loro. Stesso discorso per l’etica. Il liberalismo di Russell canta su ogni tono quando è irrorato da una vena scettica che lo fa sospettoso del Bene e del Giusto. Solo, però, che a un certo momento anche questo scetticismo si ingorga con la tentazione di procurare un fondamento oggettivo, e perciò stesso assoluto, alle scelte politiche. Che è tentazione insidiosissima, alla quale Russell cedette spesso, specie quando si cimentò nell’impresa di accreditare il socialismo come un fatto di verità universale che tutti – proprio tutti – avrebbero potuto riconoscere, se solo si fossero svestiti dei loro pregiudizi. In questo senso, Russell fu combattuto in se stesso tra lo scetticismo e l’assolutismo. Fu, più precisamente, uno scettico con la nostalgia dell’assoluto.
Potere di altro genere. Donne, femminismi e politica
Giorgia Serughetti
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 160
«Si può sostenere che la vittoria di una donna sia una conquista per tutte, qualunque sia la sua storia, la sua visione politica, il suo rapporto con il femminismo, il suo modello di gestione del potere?». La nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio ha inaugurato in Italia il primo governo con a capo una donna. Contemporaneamente, in tutta Europa e in diverse parti del mondo, leader donne stanno assumendo ruoli apicali e di responsabilità. Eppure, la popolazione femminile nel suo complesso subisce ancora le più gravi forme di sfruttamento, violenza, povertà, marginalizzazione culturale. L’inizio del nuovo millennio ha conosciuto un inasprimento degli attacchi a diritti e libertà ottenuti dal movimento femminista nel secolo scorso, con quella che è stata definita la più grande rivoluzione pacifica del Novecento; basti pensare all’offensiva sferrata da più fronti contro l’aborto, una conquista che, insieme al diritto di voto, aveva rappresentato un passaggio chiave di quelle lotte. Come si spiega una tale contraddizione? Attraverso un’analisi degli sviluppi più recenti della politica italiana e internazionale, Giorgia Serughetti riannoda i fili di questo paradosso. L’avanzare delle donne all’interno dei partiti reazionari e conservatori, lungi dal sovvertire le strutture di genere, ha fatto del femminismo un repertorio strumentale, piegato a fini ideologici, sovranisti e autoritari. Piuttosto che di «femminismo di destra» o di «femminismo neoliberista», si può parlare di appropriazione e distorsione del linguaggio femminista da parte di forze avverse all’obiettivo dell’uguaglianza. La retorica dell’ascesa individuale e della rottura del «soffitto di cristallo» occulta un potere sessista che mantiene metà del genere umano in stato di oppressione, e rimuove o addomestica la radicalità del pensiero e della tesi che attraversa le pagine è duplice. Da un lato, il femminismo politico, se non vuole essere ridotto a una serie di parole chiave buone per ogni uso e abuso, deve collocarsi con decisione dalla parte del cambiamento, della lotta per un ordine sociale giusto. Dall’altro lato, le forze politiche che intendono combattere le disuguaglianze e avanzare progetti di giustizia sociale devono porre le istanze del femminismo al centro della propria agenda. La battaglia delle donne può diventare strumento di liberazione per tutti coloro che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale: per questo sono centrali le questioni del reddito, della divisione sessuale del lavoro, del razzismo, della violenza istituzionale sulle persone migranti, della cancellazione culturale e giuridica delle sessualità non conformi. Il femminismo è una forza trasformativa radicale, la ricerca di una buona vita per tutte, non per poche, che può avvenire solo attraverso la costruzione e l’attivazione di una nuova dimensione del potere, di un altro genere di potere, un potere di altro genere.
Fare scuola al Sud. Scritti su divario educativo, disuguaglianze e democrazia
Rocco Scotellaro, Manlio Rossi Doria
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 176
L’Italia repubblicana muoveva i primi passi quando uscivano gli scritti di Rocco Scotellaro e di Manlio Rossi-Doria qui raccolti. Incentrati sull’emergenza scolastica del Sud, allora gravemente segnato dall’analfabetismo, rivelano tuttora una drammatica attualità: il peso crescente dello spopolamento e delle migrazioni, il perdurare di inaccettabili ineguaglianze sociali ed educative. La ricerca pioneristica sulla Basilicata da parte di Scotellaro – di cui nel 2023 si sono celebrati i cento anni dalla nascita – così come gli interventi di Rossi-Doria ci regalano un metodo rigoroso e innovativo, che ancora oggi è spesso il grande assente nel dibattito sul Mezzogiorno: fondato sullo studio, sull’attenzione severa ai fatti, sull’uso dei dati per comprendere la realtà e intervenire su di essa, questo approccio era maturato all’interno del «gruppo di Portici», in quel cantiere multidisciplinare e cosmopolita di pensiero, analisi, impeto civile che intendeva dare alla Repubblica il telaio culturale per la crescita di un benessere misurabile non solo con il Pil ma con la tenuta sociale e civile. Ecco perché Scotellaro e Rossi-Doria insistono sulla scuola come cuore del rinnovamento: in una prospettiva realistica, suggeriscono dispositivi possibili per una scuola che sappia cogliere il cambiamento e mutare pelle tenendo conto del contesto, con un riformismo che è solido e fattivo. Se oggi poco sopravvive del Mezzogiorno con cui si confrontarono Scotellaro e Rossi-Doria, non mancano le linee di continuità, e su tutte una tara difficile da estirpare: non solo nel Sud, ma in tutto il paese, il percorso di studi tende a rafforzare la posizione sociale di partenza, inasprendo le disuguaglianze. Come emerge dal lavoro di Openpolis riportato nel libro, Oggi la circolazione di informazioni è maggiore rispetto all’immediato dopoguerra, ma restano aree grigie in cui è difficile ragionare «dati alla mano», e dove prosperano l’aneddotica, le analisi monodimensionali, quando non proprio la mistificazione rispetto alla condizione giovanile nel nostro paese, in particolare al Sud. Con i mezzi allora a disposizione, il lavoro di Scotellaro e Rossi-Doria contribuì a disvelare queste nebbie. Occorre raccogliere il testimone, obiettivo di queste pagine riproposte grazie a Fondazione Con il Sud e all’impresa sociale Con i Bambini: perché l’alfabetizzazione non è solo capacità di leggere, scrivere e far di conto: è anche educazione alla salute e alla cura di sé e dei luoghi, educazione ai diritti civili e sindacali; è alfabetizzazione civile.
Il tempo dei femminismi. La storia delle donne come autobiografia
Michelle Perrot
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 192
«La storia è stata scritta dagli uomini, con uno sguardo maschile che ha occultato le donne, generando silenzio e oblio. L’idea di reintrodurre le donne nella trama della storia non è dovuta solo a un approccio femminista. È prima di tutto un’esigenza di verità». Donne (e femministe) non si nasce, si diventa, si potrebbe dire parafrasando Simone de Beauvoir. In una narrazione insieme intima e collettiva, che unisce l’autobiografia alla storia, la filosofia all’attivismo politico, Michelle Perrot ricostruisce il percorso che l’ha portata, giovane studentessa nella Parigi degli anni sessanta, a diventare una storica e una femminista, e a scegliere di fare della storia delle donne il centro della propria ricerca. Quando era bambina, ricorda Perrot, suo padre le diceva sempre di non sposarsi troppo presto. Il suo desiderio più grande era quello di essere come tutti gli altri, di non essere diversa dagli uomini. Questo libro è l’occasione per guardare indietro e ricostruire la propria vita, riannodando il filo che dall’attivismo cristiano della sua giovinezza l’ha condotta al femminismo, passando attraverso il comunismo. Prima professoressa a insegnare la storia delle donne in Francia, Michelle Perrot ci accompagna in un viaggio lungo l’epopea del femminile, consentendoci di esplorarne tutte le ramificazioni: la storia della battaglia per l’uguaglianza, la storia del patriarcato, la storia del movimento femminista e del grande dibattito che lo percorre e lo anima – un dibattito continuo, relativo ai corpi, al tema del genere, all’opposizione tra universalismo ed essenzialismo nel rapporto con l’altro sesso, all’idea di sorellanza – fino ad arrivare al movimento #MeToo. Il pensiero illuminante di Michelle Perrot, che non tralascia nulla anche rispetto alle questioni più spinose, ci permette di decostruire e talvolta anche di superare le divisioni del femminismo contemporaneo, dando la misura della profondità storica delle lotte che ancora oggi percorrono le nostre società.
Fare l'impossibile. Ragionando di psichiatria e potere
Franco Basaglia
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 144
«Noi psichiatri abbiamo il vantaggio che in qualunque istituzione psichiatrica andiamo, troviamo sempre la stessa faccia, lo stesso malato, cioè il malato dell’ospedale psichiatrico. Hanno tutti la stessa faccia, sembrano che abbiano tutti la stessa malattia: in effetti questa malattia è il prodotto dell’istituzione». A cento anni dalla nascita di Franco Basaglia, quale traiettoria è possibile tracciare di una delle personalità più influenti della psichiatria italiana del XX secolo? Questo libro prova a rispondere con l’aiuto di tre nuovi documenti emersi dagli archivi e mai pubblicati fino a ora. Tre inediti che consentono di entrare nel vivo dell’esperimento che nei primi anni settanta preparava il terreno all’abolizione dei manicomi e alla nascita dei servizi di salute mentale. «Abbiamo iniziato a fare quello che ritenevamo impossibile – scrive Basaglia – cioè trasformare una istituzione da violenta e bruta e mortificante in un’istituzione dove ci fosse la possibilità di chiamare un uomo “uomo”». La persona che è diventata il simbolo di questa battaglia viene qui presentata come un corpo e un pensiero collettivi. Nel libro vengono raccolti infatti interventi dal tono discorsivo in cui Basaglia compare in relazione e rapporto con altre voci, quelle di Franca Ongaro, Michele Risso e altri protagonisti del movimento antimanicomiale. Il saggio introduttivo di Marica Setaro e le note ai testi guidano il lettore nell’esplorazione di momenti, contesti e figure che raramente sono stati messi a fuoco. I dialoghi colpiscono perché mostrano una discussione aperta che coinvolgeva le assemblee di gruppo e che, a distanza di cinquant’anni, ci fa cogliere le contraddizioni che il nome Basaglia riassumeva in sé. La posta in gioco è alta: il senso di essere psichiatri mentre si scardina l’impianto della psichiatria stessa; la fatica di rendere l’esperienza di Trieste un modello costruttivo dove imparare a praticare una Emerge da questi tre scritti un uomo e uno psichiatra a cui non sfugge il rischio che il suo nome possa diventare soltanto un simulacro di libertà. Così come risalta la consapevolezza della lunga marcia che ancora attende quanti vorranno lasciare il segno effettivo di una trasformazione politica, ma non solo. Più volte Basaglia sottolinea il peso scientifico e culturale di questo processo: quali logiche e quali metodi prenderanno il suo posto? Ieri come oggi sono domande cruciali per rispondere al «problema psichiatrico». Psichiatria senza manicomio; la necessità storica che la parola «cura» significhi restituzione di dignità, diritti e soggettività ai «dannati della terra».
Quale Europa. Capire, discutere, scegliere
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 232
Tra il 6 e il 9 giugno in tutta Europa le urne saranno aperte per eleggere il nuovo Parlamento europeo. I partiti scaldano i motori: scelgono nomi, avanzano candidature, pensano tattiche. E i programmi? Il vento del nazionalismo e la diffusa resistenza a credere e battersi per una vera alternativa in quasi tutti i paesi membri rischiano di condurre a proposte di scarso respiro, timide nel-l’affrontare le sfide della doppia transizione, digitale e ambientale; ambigue, al meglio, nei confronti dei migranti; inadeguate a contrastare il nuovo disordine mondiale, le guerre e anche le tante ingiustizie ereditate. Di fronte a questo scenario il Forum Disuguaglianze e Diversità ha deciso con questo volume di scendere in campo. Non è una discesa nell’arena elettorale. È l’offerta di alcuni tratti dell’Unione europea che servirebbe alla giustizia sociale e ambientale, un contributo informativo e di confronto, un metro per giudicare – prima e dopo le elezioni – programmi, partiti, candidature ed eletti, una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l’Unione realizzerà nella prossima legislatura. L’Unione auspicata in questo libro è un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall’austerità; dove la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità; dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell’interesse prima di tutto dei più vulnerabili per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove politiche pubbliche e governo siano democratizzati. Un’Europa che prenda consapevolezza del proprio ruolo fondamentale nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace.
La fiera delle falsità. Via Rasella, le Fosse Ardeatine, la distorsione della memoria
Lutz Klinkhammer, Alessandro Portelli
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 144
Il 24 marzo 1944, 335 persone vengono fucilate a Roma, nelle Cave Ardeatine. Non è l’unico crimine nazifascista in Italia né quello più sanguinoso. Eppure, a ottant’anni di distanza, continua a suscitare polemiche. Perché quella strage produce ancora oggi leggende, racconti sbagliati, falsificazioni, errori, menzogne? A partire da questo interrogativo prende avvio il dialogo tra Lutz Klinkhammer e Alessandro Portelli: uno storico tedesco, autore di studi decisivi sull’occupazione nazista in Italia, e uno dei fondatori della storia orale, che con L’ordine è già stato eseguito ha segnato una tappa fondamentale nella ricerca sulle Ardeatine. In questo ascolto reciproco, i due approcci si arricchiscono a vicenda, illuminando tutti gli aspetti di un crimine nazista – e del suo rapporto con l’azione partigiana di via Rasella – che rappresenta tuttora una ferita aperta. Se infatti la composizione delle vittime – provenienti da tutta Italia (e non solo), appartenenti a tutte le classi sociali e a tutte le famiglie politiche – ne fa un evento unificante, la memoria pubblica, inquinata da falsificazioni, ne fa un evento divisivo, in un paese che stenta a riconoscersi nella fondazione costituzionale antifascista. Attorno alle Fosse Ardeatine si è addensato un senso comune che rovescia le responsabilità del massacro accusando i partigiani di non averlo prevenuto consegnandosi ai nazisti – quando in realtà l’idea di condizionare la rappresaglia alla resa dei partigiani non fu mai presa in considerazione. Una falsa narrazione che è diventata un pretesto per mettere in discussione l’intera moralità della Resistenza. Aspetto, quest’ultimo, che nel volume viene sviscerato e ampliato, affrontando, su tutti i versanti, le domande sulla legittimità e i limiti dell’uso della violenza, sulla difficoltà di riconoscere l’umanità delle vittime e fare i conti con quella dei perpetratori, sui meccanismi culturali messi in moto quando si tratta di rimuovere e mistificare le responsabilità.
Roma '44. Lettere dal carcere di via Tasso di un ragazzo martire delle Fosse Ardeatine
Orlando Orlandi Posti
Libro: Libro in brossura
editore: Donzelli
anno edizione: 2024
pagine: 108
«Ora stando in questa cella e malgrado il continuo stato d’inedia e di torpore che occupa la maggior parte della giornata son riuscito a fermarmi su quella decisione del mio avvenire, voglio diventare medico… io amo l’indipendenza assoluta e perciò questa professione me ne dà la possibilità, è una professione in cui il lavoro e lo studio sono in continuo esercizio, insomma soddisferebbe la maggior parte dei miei desideri. È una decisione alquanto azzardata perché mamma dovrebbe seguitare una vita piena di sacrifici per ancora diversi anni ed io non vorrei». Dieci giorni prima di essere fucilato alle Fosse Ardeatine, Orlando aveva compiuto diciott’anni nel carcere di via Tasso a Roma. Vi era stato rinchiuso il 3 febbraio, per aver preso parte ad alcune azioni della Resistenza, catturato dalle SS durante una retata nel quartiere di Montesacro. Prima di mettersi in salvo, Orlando era corso ad avvisare i compagni, e poi a salutare Lella (Marcella), la ragazza che amava, ma era caduto in trappola. Nel buio della prigione, Orlando Orlandi Posti, detto Lallo, torturato, morso dalla fame, tra momenti di sconforto e abbattimento e altri di improvvisa speranza e fiducia, in cui si slancia in piani di studio e di lavoro per il futuro, cerca il contatto con l’esterno, con la madre, con Marcella. E allora scrive, racconta di sé, di quello che sta vivendo, di quello che prova, e lo fa sfruttando pezzetti di carta che nasconde nella biancheria da lavare. I piccoli fogli che compongono questo diario sono una testimonianza preziosa, di cui ciò che impressiona è proprio l’apparente, drammatica, «quotidianità» del loro contenuto. Orlando è un ragazzo che pensa di avere una vita davanti a sé, ripercorre la breve esistenza trascorsa e matura finalmente una decisione che accarezzava da un po’: uscito dal carcere studierà con fervore, vuole diventare medico, capisce d’essere nato per questo, per aiutare gli altri, si iscriverà alla Facoltà di Medicina: «mi sento spinto da un intimo altruismo a fare del bene a tutti gli esseri umani», confessa a Marcella. Il 24 marzo 1944 viene ucciso. Portato alla luce grazie all’attento lavoro dell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano e pubblicato per la prima volta nel 2004, il diario di Orlando in questi venti anni – come ci ricorda Loretta Veri nel suo contributo – ha dato il via a numerose iniziative che ne hanno riverberato la storia nelle scuole, nei teatri, in televisione, in libreria, sui social media, nei musei, creando connessioni e nuovi stimoli che rendono Orlando Orlandi Posti vivo nella memoria di tanti. Nell’ottantesimo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, il diario torna in libreria in una nuova edizione, arricchita dagli interventi di Camillo Brezzi e Umberto Gentiloni Silveri, e da una nuova Introduzione di Alessandro Portelli che a quei tragici eventi del 1944 ha dedicato le pagine indimenticate de L’ordine è già stato eseguito.