Adelphi
Io?
Peter Flamm
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 143
Berlino, 1918. La guerra è appena finita, un uomo torna a casa e non è più lui. È convinto di aver rubato l'identità a un morto. Crede di vivere nel corpo di un altro; tutti lo riconoscono e pensano di sapere con chi parlano. Solo il vecchio cane gli abbaia contro e lo morde. Il cane sa che quello non è il suo padrone. Poi comincia a ricordare: Grete, la giovane donna dalla chioma tizianesca che ora vede alla finestra, è sua moglie; nella culla c'è il loro bambino; si rivolge a un'anziana signora chiamandola «mamma». Ma quei ricordi non hanno radici, sono cose che sa: «come un attore me ne sto su un palcoscenico, imparerò la mia parte, è già scritta fino in fondo, di certo già da prima, e io mi limito a recitarla». Solo l'amore incondizionato e la gelosia per Grete – quando riceve la visita di un uomo, Borges, un «amico» che l'ha corteggiata mentre lui era al fronte – risveglia un sentimento che potrebbe essere suo. Questo è quanto ci è dato sapere del protagonista prima che la storia inizi. Lo ritroveremo nell'aula di un tribunale, accusato di omicidio, mentre cerca di scagionarsi. Ma chi parla in queste pagine? Chi ha commesso il crimine? Il rispettabile chirurgo berlinese Hans Stern, o piuttosto Wilhelm Bettuch, l'umile fornaio che sembra averne assunto le sembianze? La risposta rimane racchiusa nel punto interrogativo del titolo e le ultime parole che l'imputato rivolge ai giudici non fanno che rendere ancora più impenetrabile l'enigma: «Ora chinatevi, spazzate via quel po' di terra. Ed ecco, troverete – me. Sì, ossa e teschio e polvere e il mio nome, che non è il mio nome eppure lo è, il mio destino, che non appartiene a me, ma a un altro, e ora mi è piombato addosso, soffocante come fosse il mio». Mimetizzato per quasi un secolo come un piccolo vortice scuro fra le correnti della prosa espressionista, questo romanzo di Peter Flamm torna ad agire su di noi come un sortilegio, la stenografia di un sisma psichico ancora lontano dall'essere decifrato. Con una Nota di Manfred Posani Löwenstein.
Bébi, il primo amore
Sándor Márai
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 256
«A ben vedere, nella mia vita non è successo nulla» annota nel suo diario il protagonista, e narratore, di questo romanzo: un professore di latino poco più che cinquantenne, celibe, alieno da qualunque sentimento nei confronti dei propri simili, maniacalmente attaccato a una routine fatta di lezioni, passeggiate, serate al circolo, rare visite a una casa di tolleranza. Ma durante un soggiorno alle pendici dei monti Tátra qualcosa si incrina, nel suo corpo e nella sua mente: si accorge di essere triste, «costantemente in attesa di qualcosa», al punto da confidarsi, quasi contro la propria volontà, con uno sconosciuto per il quale sembrava provare solo ripugnanza. La crepa non farà che allargarsi quando gli verrà assegnata una classe dell’ultimo anno – e per di più una classe in cui sono presenti sei ragazze. Con raffinatissima, pressoché diabolica abilità Márai ci fa percepire, attraverso le parole stesse del professore, i cambiamenti che avvengono in lui allorché scopre che due dei suoi allievi stanno vivendo il primo amore – un primo amore che, sebbene sia incapace di ammetterlo, forse sta sperimentando anche lui. E quando lo vedremo comprarsi un abito nuovo, tagliarsi la barba, accettare perfino che il barbiere gli faccia dei massaggi per cancellare le rughe, sapremo che, come accade a von Aschenbach nella Morte a Venezia, il baratro che gli si è spalancato davanti non potrà che inghiottirlo. Appena ventottenne e al suo primo romanzo, Márai si rivela un acutissimo indagatore d’anime, e un magistrale narratore.
Giulio Cesare
William Shakespeare
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 174
La storia è nota: Bruto amava Cesare, ma amava di più Roma. Dall’ombra di Plutarco ecco venire ancora una volta alla ribalta Giulio Cesare l’epilettico, leone cacciatore prima, cervo cacciato poi, «stella polare» in un corpo che da dittatore perpetuo si muterà presto in vittima sacrificale, nella congiura più celebre della storia antica. «C’è la guerra civile nel cielo» leggiamo nelle pagine iniziali di questa tragedia, uno dei testi più luminosi e meno frequentati del canone shakespeariano. Sulla terra sarà guerra fratricida: Bruto lo stoico, sdegnoso, inclemente, dalla parte della ragione ma in perenne «guerra con se stesso»; Cassio l’epicureo, magro, famelico, che «legge troppo»; Antonio, «bellimbusto dissoluto e nottambulo», espressione della Realpolitik – a cui si aggiungono frange schiumanti del popolo, con i suoi conati di democrazia selvaggia. Il lavoro in mano ai congiurati è «bruciante, sanguinoso, terribilissimo»: si credono guaritori, non sanno di essere macellai; per comune denominatore hanno la morte. Sorretto da «una lingua più forte di ogni musica», il Giulio Cesare mette a nudo l’essenza violenta del teatro. E il defunto sovrano, futuro dio, continuerà a ricevere la sua razione di ventitré pugnalate, nel suo eterno ritorno sulla scena. Con un saggio di W.H. Auden.
Santi e bevitori. Un viaggio alcolico in terre astemie
Lawrence Osborne
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 202
Per curare l’alcolismo c’è chi si fa ricoverare in una struttura specializzata, chi si affida a una terapia farmacologica, chi ancora pratica una ferrea astinenza. Lawrence Osborne ha una ricetta più originale: intraprendere un viaggio nel mondo islamico per studiare come vivono gli astemi e scoprire se da loro si può imparare qualcosa. L’esperienza sarà illuminante, temeraria e – per la gioia di noi lettori – sempre irresistibilmente spassosa. Accompagneremo Osborne a caccia di una birra a Surakarta, presidio indonesiano di al-Qaida, dove, sotto un ritratto di Osama bin Laden, un gruppo di studenti biancovestiti cercherà di convincerlo che l’alcol è «una malattia dell’anima». A Mascate lo seguiremo nell’affannosa ricerca di una bottiglia di champagne per brindare al nuovo anno, mentre la sua vita di coppia sperimenta impreviste dinamiche dettate dalla sobrietà forzata. E trepideremo per lui a Islamabad, quando si lancerà nella sconsiderata «avventura culturale» di ubriacarsi «in uno dei paesi più pericolosi e ostili all’alcol» della terra. Ma, davanti a un bicchiere, tutto il mondo è incline al paradosso: prova ne sono le cosiddette dry towns del New Jersey o certi sobborghi inglesi, dove fino a pochi decenni fa la «cultura suburbana dell’alcol» era l’antidoto alla «cultura urbana della droga». E al termine di questo rocambolesco tour ci apparirà lampante che lo scontro di civiltà tra Oriente e Occidente altro non è che il riflesso di due approcci diametralmente opposti alla vita – temperanza e sregolatezza, continenza e dissolutezza, con i loro paladini, astemi e bevitori, per sempre affiancati «in uno spirito di reciproca incomprensione».
Le ballate di Narayama
Schichiro Fukazawa
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 115
Non ci sono che montagne a perdita d’occhio intorno al remoto villaggio dove la vecchia Orin vive con il figlio Tatsuhei e i quattro nipoti. Un villaggio primordiale, soggetto alla legge implacabile della sopravvivenza, e insieme immobilizzato nel tempo inafferrabile di favole e leggende, dove riecheggiano ballate dai versi poetici e crudeli. E quando in famiglia si aggiungono due bocche da sfamare – la nuova moglie di Tatsuhei e quella di Kesakichi, il più grande dei nipoti –, e si approssima il traguardo dei settant’anni, un solo, gioioso pensiero occupa la mente di Orin, da sempre abituata a pensare agli altri prima che a se stessa: prepararsi degnamente per il pellegrinaggio al Narayama, la lontana montagna dove abita un dio. Lì il figlio, dopo averla portata sulle spalle sino in cima, la abbandonerà al suo destino, come vogliono norme ancestrali, atroci ai nostri occhi eppure serenamente accettate. E mentre seguiremo la silenziosa ascesa di Orin e Tatsuhei, fra valli che paiono abissi senza fondo e vette dove i corvi volteggiano sul candore delle ossa, non potremo fare a meno di chiederci se questo romanzo aspro e lacerante, caduto come un meteorite nella letteratura giapponese degli anni Cinquanta, sia davvero il frutto dell’invenzione di un outsider – o non scaturisca piuttosto dagli strati più profondi del nostro inconscio.
Paradiso
Michele Masneri
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 187
Nel «giorno più caldo di una delle estati più calde che si ricordino», Federico Desideri, giovane giornalista di belle speranze ma di scarse soddisfazioni, riceve dal direttore della rivista «di nicchia» con cui collabora l’incarico di andare a Roma a intervistare un famoso regista, autore di un film di strepitoso successo al centro del quale giganteggia un memorabile, fascinoso cialtrone. Federico scoprirà ben presto che il regista è latitante, ma in compenso, nel corso di una serata mondana, gli verrà indicato colui che di quel personaggio si dice sia stato il modello: Barry Volpicelli. Sorta di psicopompo a metà strada tra un pifferaio magico e il Bruno Cortona del Sorpasso, Barry condurrà Federico in un luogo incantato: il Paradiso, immenso compound di ville e bungalow sgarrupati sul litorale laziale, dove vive in compagnia di un ristretto gruppo di vecchi freak amabili e strampalati. Un ambasciatore che accumula prodotti di discount, un ginecologo a riposo che alleva galline ornamentali, il principe Gelasio Aldobrandi che – in preda a una perenne angoscia «misticoaraldica» – persegue il sogno irrealizzabile di un erede, una coppia di lesbiche che rimpiangono i giorni fasti in cui venivano invitate in Vaticano da papa Ratzinger, una ex bellona che accusa l’intero cinema italiano di averle rubato le idee e, non ultime, la prima e la seconda signora Volpicelli. Fra interminabili conversazioni di delirante futilità, e una notte in cui qualcuno rischia di uccidere uno degli ospiti, fra l’arrivo di una celebre influencer e una morte sospetta, molte sono le cose che il giovane Federico vedrà e imparerà durante il suo soggiorno al Paradiso. Fino al momento in cui si renderà conto di non poterne, o non volerne, più uscire.
Costruire la vita. Quattro miliardi di anni dai fossili al DNA
Neil Shubin
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 296
Quando nel 1986, durante una serie di lezioni sui «grandi enigmi dell’evoluzione», vede proiettata una diapositiva in cui un pesce è collegato da una freccia a un «anfibio primitivo», il paleontologo specializzando Neil Shubin resta folgorato come da «un amore a prima vista». È l’innesco di una ricerca che lo porterà alla scoperta relativa al Tiktaalik roseae (l’inner fish, il «pesce che è in noi») e poi all’analisi di tutte le transizioni anatomo-morfologiche più sofisticate, in primis proprio quella dai pesci agli ominidi bipedi. Alla base di tale ricerca c’è un’illuminazione aforistica attinta da Lillian Hellman – «Ovviamente nulla comincia nel momento in cui pensi tu» –, ed elevata ad audace idea-guida: le innovazioni biologiche «non insorgono mai nel corso della grande transizione a cui sono associate», ma «hanno antecedenti nel tempo profondo». Intrecciando piano storico e piano concettuale, Shubin riconduce le più recenti stazioni di questa messa a fuoco (dove paleontologia e biologia evolutiva vengono integrate da genetica e biologia dello sviluppo) ai tanti pionieri misconosciuti, visionari ed eterodossi, che le hanno anticipate, e chiarisce tutti gli snodi dialettici – a partire da quello tra «gradualismo» e «saltazionismo» nell’evoluzione – soggiacenti alla fantasmagoria di «assemblaggi» richiesti agli organismi per adattarsi a ogni ambiente. E non cessa, in questo libro spiazzante e densissimo, di alimentare una domanda cruciale, che investe il rapporto tra caso e necessità nella «scultura dei viventi»: se cioè la nostra esistenza sulla Terra sia (anche) un effetto accidentale o solo l’esito di un percorso inevitabile.
Fuoco pallido
Vladimir Nabokov
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 336
«Il romanzo più perfetto di Nabokov». (Brian Boyd) «Fuoco pallido è una scatola magica, una gemma di Fabergé, un giocattolo a orologeria, un problema di scacchi, una macchina infernale, una trappola per i critici, un gioco del gatto col topo, un romanzo fai da te. È costituito da un poema di 999 versi divisi in quattro canti in distici eroici, con tanto di prefazione dell’editore, note, indice e correzioni redazionali. Quando le diverse parti vengono assemblate seguendo le indicazioni dell’artefice, e incastrate con l’aiuto di indizi e riferimenti incrociati che devono essere scovati come in una caccia al tesoro, si rivela un romanzo a più livelli, e questi “livelli” non sono i consueti “livelli di significato” della critica modernista, ma piani in uno spazio fittizio, come quelle stanze della memoria nella mnemotecnica medioevale dove parole, fatti e numeri venivano immagazzinati in varie camere e soffitte fino a che non se ne aveva bisogno, o come le case astrologiche in cui erano divisi i cieli». (Mary Mccarthy)
Ombre sull'Hudson
Isaac Bashevis Singer
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 633
Ci sono scrittori così affascinanti, ha notato Manganelli, che riescono a cambiarti l'umore: scrittori come Singer, capace di creare personaggi simili a «figure da affresco, pantografie, immagini proiettate sulle nubi». È la grandezza che qui sprigiona il seducente e contradditorio Hertz Grein, tormentato da un'insaziabile sete carnale – si divide infatti fra la virtuosa moglie Leah, la minacciosa amante Esther e Anna, il nuovo amore – e insieme dal richiamo di un'osservanza religiosa al cui rigore non sa sottomettersi, pur riconoscendo che si tratta di «una macchina da guerra per sconfiggere Satana». Hertz sa bene che un ebreo, per quanto creda di essersi allontanato da Dio, non potrà mai sfuggirgli: sta soltanto girando in tondo, «come una carovana persa nel deserto». Intorno a lui e ai suoi dissennati grovigli amorosi – in una New York che sul finire degli anni Quaranta, per chi giunge da Varsavia o Berlino, ha le irresistibili attrattive di un gigantesco arazzo visionario –, una folla di personaggi in vario modo straziati dalla vergogna di essere vivi: come Boris Makaver, il padre di Anna, occupato durante il giorno dai suoi lucrosi affari ma sopraffatto la notte da una sofferenza terribile quanto «un dolore fisico»; o come il professor Shrage, matematico convertitosi alla parapsicologia, che vive nella speranza di ritrovare la moglie Edzhe, trucidata dai nazisti. Tutti turbati dal silenzio di Dio o – per usare ancora le parole di Manganelli – investiti «della grandezza del sacro, e della sua sproporzione».
Processi. Su Franz Kafka
Elias Canetti
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 367
Le lettere di Kafka a Felice Bauer raccontano qualcosa di più di un’impossibile storia d’amore: Elias Canetti se ne rese conto nel 1967 leggendone una selezione sulla «Neue Rundschau», e immediatamente si accordò con l’editore della rivista per pubblicare un saggio sull’argomento. Fu l’inizio di un corpo a corpo, dove l’interpretazione chiamava in causa la vita dell’autore – la sua persona fisica, la magrezza, l’ipocondria, l’ossessione per la notte e il silenzio – e insieme quella dell’interprete. L’esito di tale scontro fu L’altro processo, che irritò per la spregiudicatezza con la quale Canetti riconduceva l’opera di Kafka (e la più ermeticamente sigillata, Il processo) alla sua biografia (la rottura del fidanzamento con Felice) - proprio lui che aveva sempre lottato perché quell’opera venisse presa alla lettera. Grazie agli appunti preparatori, molti dei quali inediti, qui raccolti insieme ad altri saggi e conferenze su Kafka, possiamo immergerci per la prima volta in quel «processo» di avvicinamento, fatto di violenze, fughe e sottomissioni, quasi ci trovassimo di fronte alla descrizione di una battaglia sovrapposta a una confessione cifrata. «Non credo che vi siano persone la cui condizione interiore sia simile alla mia, o almeno posso immaginarmi tali persone, ma che attorno alle loro teste voli continuamente il corvo segreto come attorno alla mia, questo non riesco neppure a immaginarlo» annotò una volta Kafka nei suoi Diari. Oggi, leggendo finalmente nella loro totalità queste pagine, possiamo dire che si sbagliava.
Sette sere
Jorge L. Borges
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 189
Basta scorrere l’indice degli argomenti di questo ciclo di conferenze – la Divina Commedia, l’incubo, Le mille e una notte, il buddhismo, la poesia, la Cabbala, la cecità – per rendersi conto che in quelle sette sere del 1977 Borges volle offrire al pubblico un compendio dell’intera sua esperienza di lettore e di scrittore. Un lettore «edonista», che esorta ad affrontare la Commedia «con la fede di un bambino» e in generale a ignorare la storia della letteratura, perché solo i testi contano, e l’emozione estetica che sanno procurarci. E proprio per trasmettere questa gioiosa, leggera forma di edonismo, Borges, memore dei 'confabulatores nocturni' che si dice svagassero l’insonnia di Alessandro il Macedone, punteggia ogni conversazione di racconti: il dantesco «episodio di Ulisse», l’incubo di Wordsworth, la «storia dei due che sognarono» delle Mille e una notte, la leggenda del Buddha e quella del golem. Ma c’è di più: mentre discorre affabilmente dei libri che lo hanno appassionato, vediamo delinearsi le idee che questi hanno depositato nelle sue opere, tracciando un sentiero luminoso: l’idea che la realtà è un’illusione, un grande sogno che, se vogliamo, possiamo chiamare Dio; che anche il testo è «il mutevole fiume di Eraclito», giacché ogni lettura (o rilettura, o ricordo di quella lettura) lo rinnova; che inventare è ricordare, e la letteratura, di conseguenza, infinito reimpiego di materiali preesistenti. Il lettore e lo scrittore – ne abbiamo qui la conferma – nel caso di Borges coincidono miracolosamente.
Manifesto della melanconia
David Ritz Finkelstein
Libro: Libro in brossura
editore: Adelphi
anno edizione: 2024
pagine: 160
Dal momento in cui è apparsa nel 1514, la Melencolia I di Dürer è ascesa a icona di culto – un culto in cui ha giocato un ruolo essenziale la sua esasperante, quasi irriducibile condensazione simbolico-esoterica, oggetto di secolari speculazioni almeno fino a quando, nel 1923, Erwin Panofsky e Fritz Saxl ne hanno dato un’interpretazione in apparenza risolutiva. Meno noto ma altrettanto illuminante è il contributo di uno dei fisici più eterodossi del nostro tempo, David Finkelstein, il quale, prendendo le mosse dallo studio dei due grandi storici dell’arte, offre dell’incisione un’originale analisi che riconduce ogni elemento a specifici ambiti scientifici e ne sottolinea così un carattere radicalmente nuovo. Non solo. Se già per Panofsky e Saxl la Melencolia I non rappresentava più la semplice traduzione visiva di un’inclinazione umorale, Finkelstein compie un passaggio ulteriore: facendo coincidere la scoperta rinascimentale della prospettiva con quella generale sull’«aspetto prospettico» (ossia relativistico) della realtà, individua nella melanconia la disillusione dell’artista e dello scienziato che si sforzano invano di raggiungere «verità e bellezza assolute». Al cuore di questo libro, dunque, c’è una vera, profonda messa in discussione degli idoli della scienza. Uno snodo su cui il fisico torna in modo mirato anche nel secondo scritto qui proposto, una breve ma acutissima meditazione dove Einstein e la meccanica quantistica vengono rilette per approdare alle più ardite implicazioni conoscitive della scuola buddhista. Mostrando così come in fisica le «relazioni» tra gli oggetti contino più delle loro «proprietà»; e come non esistano teorie totalizzanti né, men che meno, conclusive. Con una Nota di Carlo Rovelli.

