Edizioni Alegre: Quinto tipo
Gli automotivati. La love story tra scuola e motori
Paolo La Valle
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2024
pagine: 256
Rombo di motore, bruuum, bruuum. Uno spot della Regione Emilia Romagna dice che è «la colonna sonora del Belpaese», «versione postmoderna dell'inno di Mameli». L'Italia è prima in Europa per densità di automobili, 663 ogni mille abitanti. Mantiene il primato da decenni, nonostante crisi economiche, politiche, sanitarie. Non basta citare la Fiat e il suo ruolo nella storia nazionale. C'è qualcosa di più profondo, che sprona a comprare auto e le rende imprescindibili, ben oltre la mera necessità di spostarsi. Ciò è tanto più vero in Emilia Romagna, dove la passione per i motori si abbina a una produzione legata al lusso e allo sport. A raccontarsi ne "Gli automotivati" è un professore di un istituto tecnico-professionale che, trasferitosi a Bologna, ci mette qualche anno a capire dov'è finito: nel tempio a cielo aperto del culto del brum brum. La Ferrari, la Lamborghini, la Maserati, il rutilante Motor Show, l'autodromo di Imola, la «Motor Valley» lungo la via Emilia con le sue centinaia di fabbriche che lavorano per l'automotive... La chiamano anche Tumor Valley: è l'area più inquinata d'Europa. Qui il settore dell'automotive concentra spinte che condizionano tutta la società, a partire proprio dalla scuola. Durante le ore di lezione, nel confronto coi colleghi, persino a ricreazione diventa chiaro che insieme ai suoi bolidi l'industria dei motori produce ideologia: si studia solo quanto serve per trovare subito un lavoro, i migliori devono elevarsi sugli altri, there is no alternative all'automobile ecc. "Gli automotivati" indaga e narra tutto questo tra i banchi di scuola in un'alternanza di spasmi testuali, una sorta di twerking in cui ogni genere è scosso al ritmo della peggior musica, quella di milioni di auto che sgasano, incuranti di guerre e crisi climatica. Procediamo, ciascuno nel proprio abitacolo, schermandoci dal mondo, ascoltando le nostre playlist, per non pensare che andiamo verso l'ultimo - forse il definitivo - incendio. Bruuum, bruuum.
Dynamite! Storie di violenza di classe in America
Louis Adamic
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2023
pagine: 576
"Rivolta nello stile, non solo nel contenuto. Scrivendo di sabotaggi e scioperi selvaggi, delle sommosse di un proletariato multietnico e reietto, di repressione, uccisioni e racket, di cinquant'anni di guerra di classe negli Usa, Louis Adamic (1898-1951) non poteva adottare il punto di vista «obiettivo» del mitico «giornalismo anglosassone». Il punto di vista, disse Tom Wolfe, del «galantuomo letterato in tribuna». Adamic non stava in tribuna ma in campo. Quelle storie le aveva vissute, le aveva in corpo. Il suo Dynamite è un classico e una pietra miliare perché lo scrisse con ogni mezzo necessario, in un mélange di stili idiosincratico, all'epoca azzardato, alternando ricostruzione storica e racconto epico, inchiesta puntigliosa e memoir travisato. Soprattutto, abitando la lingua inglese da straniero - nato a Grosupije, in Slovenia - ma cercando di possederne ogni registro, dallo slang più marginale ai tecnicismi dell'economia e delle scienze sociali. Di Dynamite pubblichiamo, alla buon'ora (da qui il punto esclamativo che ci permettiamo di aggiungere!), la prima edizione critica e integrale in lingua italiana. Traduzione e curatela di Andrea Olivieri. Non solo uno tra i pochi al mondo ad aver consultato l'archivio Adamic a Minneapolis, ma anche autore di un libro scintillante, Una cosa oscura, senza pregio (Alegre, 2018), in cui la vicenda biografica di Adamic si intreccia a storie di lotte operaie e guerra partigiana tra Italia e Jugoslavia. È anche la prima volta in cui una casa editrice pubblica un libro simultaneamente in due collane. Da qui il particolare oggetto double-face che vi trovate tra le mani. Che altro dire? Buone rivolte." (Wu Ming 1)
Se vi va bene bene se no seghe. Dall'antimilitarismo a Radio Alice e ancora più in là
Valerio Minnella
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2023
pagine: 352
Radio Alice - per chi le vuol bene, solo «Alice» - è sgomberata dai Biechi Blu la sera del 12 marzo 1977. C'è chi fugge sopra i tetti, passando accanto a un'antenna da carro armato, ma qualcuno rimane, perché non si abbandona la nave, pardon, la tecnologia, all'orda nemica. Il resto è storia: «Sono entrati... Abbiamo le mani alzate... Stanno strappando il microfono...» A dire quelle frasi è Valerio Minnella, e in questo libro racconta la sua storia. Che comincia ben prima di Alice. Quel 12 marzo, Valerio ne ha già vissute e fatte tante: ha lottato per l'obiezione di coscienza, ha tirato su una tendopoli in piazza Montecitorio, ha bruciato la cartolina di leva, è stato 300 giorni in carcere militare, ha camminato per chilometri con Franco Battiato, ha preso parte alla rivoluzione di Franco Basaglia al manicomio di Trieste... Poi le radio libere, l'arresto e di nuovo il carcere (stavolta civile), altre lotte, intuizioni, trovate, marchingegni. Perché, come si dice a Bologna, ci vuole dello sbuzzo, e Valerio ne ha da vendere. Cos'è lo sbuzzo lo spiega poi lui. Un'autobiografia basata su tre anni di conversazioni con Wu Ming 1 e Filo Sottile, registrate, trascritte, discusse, integrate lavorando d'archivio, mixate a sei mani in una lunga jam-session. Un oggetto narrativo assemblato dialogando non stop, come nel flusso creativo di Alice. Una lettura che sorprende, come un concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven che parte mentre la polizia irrompe. Niente seghe, perché è sicuro che vi andrà bene.
La vita umana sul pianeta Terra
Giuseppe Genna
Libro: Copertina morbida
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2022
pagine: 197
Ringerike, contea di Buskerud, Norvegia. Lì sorge un carcere. Dal marzo 2022 vi è rinchiuso Anders Behring Breivik. È l'ultima tappa del suo viaggio da detenuto. Regime Shs, Særlig Høy Sikkerhet, alta sicurezza. A pochi chilometri, la riva occidentale del Tyrifjorden, uno dei più grandi laghi del paese. Verso la riva opposta si erge un'isola boscosa, di proprietà dell'Auf, l'organizzazione giovanile del partito laburista. Si chiama Utøya. Su quell'isola Breivik attaccò un campo estivo dell'Auf e uccise con proiettili avvelenati sessantanove persone, in gran parte adolescenti. Era il 22 luglio 2011. Il primo colpo fu sparato alle 17:22. Meno di due ore prima, a Oslo, Breivik aveva ucciso altre otto persone, piazzando un'autobomba davanti all'ufficio del primo ministro Jens Stoltenberg, uscito illeso dall'attentato. Nel 2014 Stoltenberg sarebbe diventato segretario generale della Nato. Breivik non poteva saperlo, voleva ucciderlo per tutt'altri motivi, abietti e contorti. Una storia sbagliata, il fantasma di un movente, un massacro mostruoso. Nello stesso anno in cui Stoltenberg ascendeva al vertice militare dell'impero d'occidente, usciva in Italia - per i tipi dell'editore più main del mainstream - la prima edizione di quest'oggetto narrativo non-identificato, un'opera per molti versi preveggente, che oggi Quinto Tipo ripropone in versione "aumentata", con nuovi capitoli intitolati «I postumi». Di cosa è il nome Breivik, oggi, per noi? Per fornire lacerti di possibili risposte, Genna - tra i più visionari artificieri delle patrie lettere - ha dovuto far brillare, come una valigia sospetta abbandonata alla stazione, la "consegna" ricevuta dall'editore mainstream: «Tu ispezioni il male, fai un thriller allora, è il genere perfetto ora. E Breivik è il male, è perfetto». No. Dire che Breivik è «il male» è banale consolazione, significa ridurlo a spauracchio per mantenere un ordine neoliberale che scatena guerre e stragi immani. Dove noi non guardiamo, Utøya avviene ogni giorno. Alla guida di uno scuolabus giallo Genna solca la campagna norvegese e intanto affastella storie come fascine da bruciare, alcune di primo acchito irrelate, in realtà pertinentissime. Il passato di Breivik, le sedute del processo, una catena di omicidi neonazisti in Germania, storiacce di eroina per le strade di Milano, l'arrivo del Sars-Cov-2... Tutto questo, per dirla con l'ultimo Franco Battiato, è «il vuoto». Venti di profezia parlano di Dei che avanzano. Un libro che male dice quel che dire "bene" tradirebbe.
Senza titolo di viaggio. Storie e canzoni dal margine dei generi
filo sottile
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2021
pagine: 384
Rombi di tuono e lampi: entrano in scena tre streghe. Così comincia il Macbeth. Di streghe ne vediamo anche qui, ma non compaiono all’inizio, né leggono il futuro a un condottiero scozzese. Queste streghe accolgono l’autrice – sorella nella buona e nella cattiva sorte – nella sterpaglia che costeggia il Sangone, torrente che dà il nome a una valle piemontese. È a loro che Filo racconta la sua storia, la storia che avete tra le mani, una battaglia partita per cinque lettere. O – M – E – N - A. «Battaglia che forse, chissà, non ci sarebbe stata senza la lotta No Tav». «Come? C’entra pure quella?». «Manco te l’immagini, quanto c’entra». Le streghe ascoltano, commentano, consolano, preparano a Filo un brodo di erbe selvatiche. Anche loro hanno una storia e a modo loro la raccontano. L’unica cosa che non fanno è leggere il futuro. Perché, come diceva un fratello maggiore, the future is unwritten. I confini di genere, come quelli tra nazioni, sono presidiati. Varcarli è un’impresa. I lasciapassare sono concessi di rado e a condizioni umilianti. Spesso le persone trans, non binarie e queer hanno necessità di passare comunque. Come? Da clandestine. E a volte nei reticolati restano impigliati brandelli di nomi. Senza titolo di viaggio narra di un’esplorazione di genere e spesso la canta, perché qui dentro c’è la punk e la folk. Un testo in bilico tra prosa e canzonette, dove s’alternano amarcord siculo-torinesi, teoria transfemminista e teatro di rivista, con le benedizioni di Judith Butler e Petrolini. «La coscienza di sé, la ribellione ai diktat di genere, la gragnuola di coming out, l’autodeterminazione, la lotta contro la transfobia, sono tappe di un viaggio verso la riappropriazione e l’autogoverno dei corpi, degli spazi, dei tempi e dei territori, per vivere relazioni fuori dal dominio patriarcale e capitalista!». «Bravx!». «Grazie!».
Le conseguenze del ritorno. Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia
Luca Giunti
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2021
pagine: 176
Ritornano. Scendono dai monti, si spostano col buio, appaiono inattesi al limite dei campi e negli hinterland delle grandi città. È un eufemismo dire che i lupi si erano «quasi estinti». Li avevamo sterminati. A fucilate, con le tagliole, coi bocconi avvelenati. È accaduto più o meno cent'anni fa. All'epoca le nostre "aree interne", sull'arco alpino e lungo la dorsale appenninica, erano ancora abitate. Nella seconda metà del Novecento si sono gradualmente spopolate. A partire dagli anni Ottanta, dalle minuscole e inaccessibili enclave dove si erano rintanati, i pochi lupi superstiti hanno ricominciato a guardarsi intorno. E a camminare. E a macinare chilometri. Sempre più chilometri. Decine di chilometri nel corso di una sola notte. È stato così che il lupo ha ripopolato le nostre montagne, ed è ormai avvistato anche in pianura. Durante il «lockdown» del 2020 ha colto l'occasione per spingersi dove non avremmo mai immaginato, poco fuori le nostre città e a volte addirittura dentro. Come stiamo rispondendo a questa riapparizione, a quest'antica e rinnovata presenza? Siamo indecisi tra fascinazione e inquietudine. Il lupo è come un reduce che torna da una guerra di cui ci eravamo scordati. Riporta a galla memorie culturali, ci accende lampi nella mente. Luca Giunti è un grande esperto di lupi. Da anni ne studia spostamenti e comportamenti, cataloga le storie e leggende che li riguardano, e come un antropologo studia le reazioni di noi umani di fronte alla loro ricomparsa. In "Le conseguenze del ritorno" confluiscono anni di perlustrazioni, riflessioni e incontri, in un trascinante ibrido di divulgazione scientifica, riflessioni sul posto del lupo nella nostra cultura, ricordi ed esperienze personali, curiosità e riflessioni politiche. Perché quella dei lupi è anche una questione politica.
La farina dei partigiani. Una saga proletaria lunga un secolo
Piero Purich, Andrej Marini
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2020
pagine: 464
Racconto del «secolo breve» e di tre generazioni, "La farina dei partigiani" ha l'andamento di una tromba d'aria: comincia a ruotare in Bisiacaria - il territorio tra Trieste e il Friuli - per poi allargarsi all'Europa e al mondo intero. Con il cuore che batte nella Resistenza e i piedi piantati nelle lotte sul lavoro, Piero Purich - storico e narratore - e Andrej Marini - discendente della dinastia operaia e antifascista Fontanot-Romano-Marini - ricostruiscono una vera e propria saga familiare e proletaria. La storia, molte storie, vicissitudini di lavoratori comunisti a cavallo tra confini e culture, tra epoche ed epopee. Dai campi profughi austriaci durante la grande guerra all'emigrazione clandestina in America, dalle lotte nei cantieri navali di Monfalcone alla guerra partigiana in Italia e Slovenia, dall'idealistica partenza per «costruire il socialismo» in Jugoslavia alle amare delusioni nei confronti di Tito, dello stalinismo e del Partito comunista italiano, per arrivare al tardo Novecento, alle esperienze di Andrej a Panama, in Nigeria, in Libia e in Giordania. Biografie incredibili ma vere, messe insieme col rigore di chi lavora sulle fonti e narrate con la penna del romanziere. Vite che incarnano il grande sogno della sinistra europea e mondiale. Vite di chi non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e alle delusioni più cocenti. Vite all'insegna della libertà mosse da un ideale intramontabile: la fine dello sfruttamento.
Stradario hip-hop
Nexus
Libro: Copertina morbida
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2020
pagine: 320
Rap (o MCing), DJing, writing, breaking. Le «quattro discipline» dell'hip-hop, secondo una nomenclatura affermatasi negli anni Ottanta. Oggi ha ancora senso parlare di hip-hop? E che cos'è l'hip-hop? Presa di parola emancipatoria delle minoranze meticce o facile viatico per soldi e successo? Indecorose tag sbombolettate sui muri o movimento di controcolonizzazione? Espressione di contestazione nei centri sociali o fenomeno pop mainstream in tv? Immaginario patriarcale e sessista o strumento di lotta femminista? O forse tutto questo insieme? E se è tutto questo insieme, come si racconta? Che rapporto c'è fra Jovanotti e Afrika Bambaataa, Jay-Z e Vasco, Coca-Cola e Fight the Power, dischi in vinile e dischi volanti, Zulu King e drag queen, pantere nere e tori rossi, Jackie Chan e latin hustle, Andy Warhol e Crazy Legz, Ronald Reagan... e la misteriosa danza psionica messa a punto nelle fogne di New York? C'è da perdersi dopo ogni angolo... Ma uno stradario serve proprio a questo: a orientarsi. Guidato da tre maestri Jedi della cultura hip-hop (Danno, Poe One e Phase Two), lo Stradario di Nexus ci conduce nel labirintico mondo della doppia H. Un'epopea urbana fatta di boulevard storici e avenue filosofiche, incroci mortali, tunnel, sentieri sterrati, strade perdute e vicoli ciechi. Nei lunghi boulevard si racconta di segregazione razziale, bande di strada e sette urbane degli anni Sessanta e Settanta; delle «quattro discipline» negli anni Ottanta; della liaison fra hip-hop e centri sociali negli anni Novanta; della sublimazione della scena nella cultura urban negli anni Zero; della nostalgia per i bei tempi andati negli anni Dieci, e di scommesse per gli anni Venti. Nelle avenue, invece, si raccontano le potenzialità pedagogiche, politiche, filosofiche ed espressive che musica, danza e arti visuali hip-hop lanciano nel nuovo millennio. Tre anni di scrittura, quattordici di ricerche, oltre un secolo di storie e rivoluzioni. Insieme saggio, romanzo ed esposizione d'archivio, Stradario hip-hop smonta le narrazioni rap-centriche, politiciste e misogine sull'hip-hop, lanciando nuovi itinerari culturali, transnazionali e gender bender per approcciarsi, come dicevano quei tali, alla «scienza doppia H». Oltre le Quattro Discipline, una narrazione del Quinto Tipo.
Pozzi. Il diavolo a Bitonto
Selene Pascarella
Libro: Copertina morbida
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2019
pagine: 252
Recuperare un «fattaccio» di cronaca nera, un cold case davvero molto cold, blocco di ghiaccio nascosto sottoterra, che a toccarlo raggela le dita. Ritessere una storia sfilacciata dal tempo, una saga perduta di bambini uccisi chissà come e colpevoli a buon mercato, ambientata all'estremo margine di un lembo di provincia italiana, nel decennio più maudit del secolo scorso: gli anni Settanta. Raccontare una storia che giunge a noi trasfigurata in un film, un classico del thriller all'italiana, "Non si sevizia un paperino" di Lucio Fulci. Partire da lì e andare a ritroso. Il cult movie con Tomas Milian, Florinda Bolkan e Barbara Bouchet arriva nelle sale nel 1972. Quello stesso anno il piccolo Giuseppe affoga nella cisterna della casa di sua nonna, nel quartiere più "degradato" di Bitonto, in provincia di Bari. È il quinto bimbo ripescato morto dai pozzi di quello che per la stampa e la gente perbene è il ghetto dei truscianti: persone di remota origine «zingara», dedite al furto e ad altre attività illegali. Stampa e televisione si gettano a capofitto sul caso, il clamore dura a lungo, i colpi di scena si susseguono... Dopodiché, cala il silenzio. Per anni. Perché? Interrogare la storia, i filamenti di memoria e il nucleo denso dell'amnesia collettiva. Camminare lungo il reticolo dei confini tra realtà e sceneggiatura, tra la Bitonto delle cronache e l'Accendura inventata da Fulci e Gianviti, tra la polvere dell'archivio e la vita vera incrociata durante i sopralluoghi, tra il non detto che percola ovunque e l'irrompere di spunti autobiografici. Fare tutto questo con l'aiuto di Esselio. È la missione che si è data Selene Pascarella, al suo secondo titolo per Quinto tipo. Dopo "Tabloid inferno", un case study sulle narrazioni tossiche legate alla cronaca nera e alla sua manipolazione politica e propagandistica. «Dal sud del Sud dei santi», come diceva Carmelo Bene. Che è anche il sud del Sud dei diavoli.
Una cosa oscura, senza pregio
Andrea Olivieri
Libro: Copertina morbida
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2019
pagine: 432
Ricordiamo Louis Adamic soprattutto come l'autore di un libro «di culto», di quelli che è facile fraintendere, che a maneggiarli scottano le dita, che incatenano i loro autori a immagini stereotipate: "Dynamite: The Story of Class Violence in America", scritto nel 1931 e riscritto nel 1934. Eppure, prima di trovare una morte enigmatica negli Stati Uniti della «caccia alle streghe», Louis fu tante persone, forse troppe: inquieto adolescente sloveno nell'impero austroungarico, migrante transatlantico in cerca di fortuna, americanissimo scrittore on the road, padre mai riconosciuto del New Journalism, cantore delle comunità meticce dei nuovi proletari (un Jack London mitteleuropeo tra gli scioperi degli Industrial Workers of the World), agitatore politico e infine sostenitore della Iugoslavia del maresciallo Tito. Una storia, molte storie a cavallo tra due continenti, tra i mostri del ventre d'Europa e l'American Dream spazzolato contropelo. Andrea Olivieri ha costruito un oggetto narrativo dove ogni capitolo è un campo minato, una narrazione ibrida squassata da continue esplosioni. L'autore non solo ricostruisce la storia di Louis nella sua complessità, ma ne adotta il metodo giornalistico e la poetica, ibridando fiction e non-fiction, e ne incrocia le traiettorie con quelle di altri proletari "meticci", vissuti in una zona dai confini incerti e dunque dai molti, troppi nomi: «Litorale adriatico», La biografia di Adamic dialoga con la storia di famiglia dell'autore. Famiglia di operai antifascisti e partigiani, protagonisti di un'epopea tra la Via Flavia e il West, nomadi tra i porti e cantieri navali di Monfalcone, Trieste, Fiume. Seguendo le vicissitudini di Albano e Leda, i nonni partigiani, Olivieri ci accompagna lungo le strade di un'umanità brulicante alla Dos Passos, in una borderland dove l'«identità nazionale» è continuamente messa in crisi, i confini sono mobili e ogni lingua è lingua franca. Un mondo di solidarietà di classe e internazionalismo, che grazie a queste pagine torna a ispirarci.
Uccidi Paul Breitner. Frammenti di un discorso sul pallone
Luca Pisapia
Libro: Copertina morbida
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2018
pagine: 288
Riorganizzazione nazionale, così viene definita l'operazione perpetrata dai generali argentini negli anni Settanta, attraverso sequestri e desapariciòn. Mentre la repressione nel 1978 giunge al culmine dell'abominio, all'Estadio Monumental di Buenos Aires Olanda e Argentina giocano la finale dei mondiali di calcio. L'obiettivo del regime è che il grande evento distolga l'attenzione dal bagno di sangue in cui è immerso il Paese. Invano cerca di scomparire anche Arcadio Lopez, misteriosa figura costretta in un bunker che guarda la finale da un piccolo televisore, tormentato da urla strazianti e voci interiori. Quasi quarant'anni dopo, e ancora nel sud del mondo, i mass media puntano i riflettori sui campi di calcio del Brasile, lasciando nell'ombra le proteste contro gli sperperi e le brutali operazioni di "decoro" del governo. Intanto tra i palazzi più alti di Rio de Janeiro si aggira Mr. M., un lurido super poliziotto intento a coprire gli intrallazzi della Fifa. Quindi il nastro si riavvolge a Usa '94, quando il calcio subisce la definitiva trasformazione in prodotto televisivo, a cui assistiamo attraverso gli occhi di un bambino che fissa uno schermo all'interno di un enorme centro commerciale dall'atmosfera distopica e ballardiana. Nel limbo sottilissimo tra realtà e finzione in cui si muovono questi personaggi, si apre il ventaglio delle riflessioni politiche sulla storia del calcio: dal totaalvoetbal olandese al catenaccio italiano; da Giuseppe Meazza che incarna la funzione ideologica del fascismo a Rachid Mekhloufi che gioca per il Fronte di liberazione nazionale algerino; dalla disciplina dei reds di Bill Shankly all'anarchismo pirata del Sankt Pauli; dal sedicente comunista Paul Breitner al re ribelle Eric Cantona. Quale scuola di gioco, bandiera o concezione del pallone è riuscita a sfuggire alle logiche del capitale? Tutte, nessuna. Perché il gioco del pallone nasce già moderno. È una merce, un dispositivo dello spettacolo e un apparato del potere. Ecco la relazione indissolubile da cui è impossibile sottrarsi. Per dimostrarlo Luca Pisapia usa la finzione quanto l'archivio, l'inchiesta quanto la saggistica pop, offrendo una narrazione non pacificata che porta a galla le molteplici contraddizioni del pallone. Per farle detonare.
La controfigura
Luigi Lollini
Libro: Libro in brossura
editore: Edizioni Alegre
anno edizione: 2018
pagine: 381
Rózsa. È il cognome di Eduardo, non ancora trentenne dirigente del Partito socialista operaio magiaro, o meglio, della sua organizzazione giovanile. È l’anno 1988, l’Europa è alla vigilia di sconvolgimenti epocali, ma pochi guardano l’orizzonte e capiscono. Eduardo forse è tra questi. Lo incontriamo a Bologna, dove si celebra in pompa magna il ix centenario dell’università. Rappresenta l’Ungheria a un meeting di giovani di mezzo mondo. Padre magiaro e madre boliviana, Eduardo Rózsa Flores non è il tipico burocrate d’oltrecortina: spigliato poliglotta, anticonformista, recita poesie e canta a piena voce, ammalia gli interlocutori, li attira, li trascina con sé nel suo slancio vitale, nel fervore per questi tempi che stanno per cambiare. La caduta del Muro di Berlino è vicina, la fine dell’Urss dietro l’angolo. Che farà questo giovane comunista, nell’epoca che viene? Alberto, studente dell’Alma Mater e alter ego dell’autore, trascorre con Rózsa una serata fatidica, che ricorderà per tutta la vita. «Take me / to the magic of the moment on a glory night», dirà la canzone che accompagnerà la svolta. Pochi mesi dopo, Alberto incontra di nuovo Eduardo, stavolta a Budapest, durante una vacanza con l’Interrail. Cena a casa sua, conosce i suoi genitori. Poi gli anni e la distanza macinano i giorni: qualche telefonata, un pugno di cartoline, un rapido incrocio a Venezia che ha vaghi contorni di mito... I due non si vedranno mai più. Nel 2009 la notizia appresa per caso: Eduardo Rózsa Flores è stato ucciso a Santa Cruz, in Bolivia. Un cerchio che si chiude male: nato in Bolivia, è morto in Bolivia come l’amato Che Guevara, ma – a quanto sembra – dall’altra parte della barricata: eliminato da forze speciali del governo socialista bolivariano. Era coinvolto, si vocifera, in un complotto di destra per attentare alla vita del presidente Evo Morales. È vero? E se è vero, com’è stato possibile? Cos’era diventato il brillante Eduardo nei vent’anni da Bologna a Santa Cruz? La domanda si dilata e pulsa nella testa di Alberto, nel frattempo divenuto insegnante, marito, padre. Bisogna provare a rispondere, bisogna cercare. Eduardo: comunista anticomunista, patriota magiaro che per «solidarietà internazionalista tra nazionalisti» combatte a fianco dei croati in Jugoslavia. Eduardo: convertito all’Islam durante una missione in Bosnia, «nemico dell’imperialismo», amico di «Carlos lo Sciacallo», e chi più ne ha più ne mette, ma più ne mette e più aumenta la confusione. Eduardo: un rompicapo, letteralmente. Per Alberto, un aneurisma della memoria, con rischio di rottura vascolare. La Controfigura è un regolamento di conti con una persona che ha tradito, e al tempo stesso il tentativo di capire chi e cosa sia stato tradito. Perché una cosa è certa, compagno: «A qualcuno devi chiedere scusa. Devi chiedere scusa anche a me».