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Giuntina

Prigioniero in Russia

Prigioniero in Russia

Menachem Begin

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 424

Mentre le nubi del secondo conflitto mondiale andavano annunciandosi all’orizzonte, Menachem Wolfovitch Begin e i suoi compagni dell’organizzazione giovanile sionista revisionista Betar si adoperavano per far emigrare quanti più ebrei possibile dalla Polonia in Terra d’Israele. Nel 1939, quando tedeschi e sovietici invasero la Polonia dopo il patto Molotov-Ribbentrop, Begin, colto completamente di sorpresa, lasciò rapidamente Varsavia con la giovane moglie per trovare rifugio a Vilna, in Lituania. Venne arrestato dalla NKVD, la polizia segreta sovietica, il 20 settembre del 1940 in quanto “sionista ed elemento controrivoluzionario”. "Prigioniero in Russia" racconta l’arresto, gli interrogatori e la deportazione di Begin in un gulag e rappresenta una testimonianza della tragedia collettiva vissuta dall’ebraismo europeo negli anni della Seconda guerra mondiale. Questa descrizione delle condizioni dei detenuti nei gulag è inoltre la prima testimonianza pubblicata in Occidente sulla realtà concentrazionaria nell’Unione Sovietica. Anticipava di tre anni le rivelazioni del XX Congresso del Partito comunista sovietico (1956) sui crimini di Stalin e di quasi nove anni "Una giornata" di Ivan Denisovič di Solženicyn. A ottanta e più anni di distanza dagli eventi narrati, in un mondo in cui i conflitti, tanto in Europa quanto in Medio Oriente, non cessano purtroppo di essere di drammatica attualità, "Prigioniero in Russia" continua a essere un implacabile atto di accusa contro il totalitarismo e un fortissimo atto di fede nella vita e nella sopravvivenza del popolo ebraico, dentro e fuori lo Stato d’Israele.
24,00

Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann, inventore delle Paralimpiadi

Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann, inventore delle Paralimpiadi

Roberto Riccardi

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2021

pagine: 192

Ludwig Guttmann voleva essere un neurologo, curare le lesioni spinali, aiutare gli altri. Ma nel 1938, dopo la Notte dei cristalli, capì che la situazione degli ebrei in Germania stava rapidamente precipitando: essere uno dei medici più stimati del paese non avrebbe salvato lui e la sua famiglia dalla deportazione. Raggiunse così l’Inghilterra, e qui avviò una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre l’approccio alla paraplegia. A Stoke Mandeville, l’ospedale che iniziò a dirigere nel 1944 nel Berkshire, i feriti di guerra non avrebbero incontrato né avversione né commiserazione. Questi giovani – perlopiù piloti della RAF impegnati a difendere l’Europa dalla minaccia nazista – erano «il meglio degli uomini» e non meritavano di marcire in un letto. Alla disperazione e ai sedativi, Guttmann preferì l’attività sportiva, l’aria fresca, la gioia dei rapporti umani. Ragazzi che la guerra aveva drammaticamente segnato tornavano alla vita grazie all’entusiasmo di una sana competizione. L’anno della svolta fu il 1960, quando grazie al medico italiano Antonio Maglio i «Giochi di Stoke Mandeville» approdarono a Roma, in occasione della XVII Olimpiade. Nacquero così le gare paralimpiche. Un cuore da campione non racconta solo la vita di un personaggio straordinario fortunosamente scampato alla Shoah, celebra anche un’avventura coraggiosa che ha cambiato in profondità il nostro modo di intendere lo sport, il corpo e i rapporti umani. Una rivoluzione che oggi sopravvive nella determinazione di tutti gli atleti paralimpici, nel grido di gioia di Bebe Vio e nella forza indomita di Alex Zanardi. Una rivoluzione iniziata con una palla medica lanciata da un letto all’altro, in un ospedale sperduto nella campagna inglese, e giunta infine sul podio olimpico con un oro al collo.
15,00

Io voglio vivere. Il diario di Éva Heyman

Io voglio vivere. Il diario di Éva Heyman

Eva Heyman

Libro: Copertina morbida

editore: Giuntina

anno edizione: 2017

pagine: 150

"Ha vissuto appena tredici anni Éva Heyman, «la ragazzina con quel meraviglioso visino da mela, con la sua avida curiosità, l'ambizione, la vanità, gli occhi luminosi che sprizzavano energia», come la definiva il suo patrigno, lo scrittore ungherese Béla Zsolt (1895-1949), nel suo mirabile libro autobiografico "Le nove valigie". Éva Heyman nasce il 13 febbraio 1931 a Nagyvárad, l'attuale Oradea in Romania, e termina la sua breve esistenza il 17 ottobre 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, secondo testimoni oculari selezionata direttamente da Mengele per il forno crematorio. Dal suo tredicesimo compleanno, il 13 febbraio 1944, e fino al 30 maggio, data dell'ultima annotazione, tiene un diario in cui descrive le condizioni di vita sempre più difficili degli ebrei di Nagyvárad. In meno di tre mesi la vita piuttosto agiata e, malgrado la guerra, ancora serena di questa ragazza sensibile e intelligente subisce trasformazioni radicali: prima l'internamento nel ghetto e poi la deportazione ad Auschwitz il 13 giugno. Dalle lettere riportate in questo libro risulta che prima di essere spedita al campo di concentramento Éva Heyman affida il diario a una fedele domestica cattolica della famiglia, la quale al termine della guerra lo restituisce alla madre, la giornalista Ágnes Zsolt, unica sopravvissuta di tutta la famiglia, insieme al secondo marito Béla Zsolt, scampati miracolosamente alla morte. Ágnes Zsolt è morta suicida nel 1951." (dalla Postfazione di Andrea Rényi)
15,00

La notte

La notte

Elie Wiesel

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 1995

pagine: 112

"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla Prefazione di F. Mauriac)
10,00

C'è un punto della terra... Una donna nel Lager di Birkenau

C'è un punto della terra... Una donna nel Lager di Birkenau

Giuliana Tedeschi

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 1995

pagine: 168

"Il libro di Giuliana Tedeschi è ricco di una sua realtà interiore che si afferra alla varietà infinita degli eventi narrati e dà loro un significato inconfondibile, poiché la scrittrice vive la sua esperienza profondamente e vi riflette su. Il campo di Auschwitz acquista ai nostri occhi una sua propria consistenza fantastica e più l'acquista la turba delle abitatrici, un'accozzaglia di esseri caduti là da ogni paese e incatenati a un destino comune, "le donne", che sono il soggetto corale di ogni proposizione contenuta in queste pagine." (Benvenuto Terracini)
17,00

Roma 1524. I Capitoli di Daniel da Pisa e la nascita della comunità ebraica

Roma 1524. I Capitoli di Daniel da Pisa e la nascita della comunità ebraica

Bernard D. Cooperman, Serena Di Nepi, Anna Esposito, Pierre Savy

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 280

Il 12 dicembre 1524, papa Clemente VII pubblicò con un breve i Capitoli di Daniel da Pisa, il primo statuto di una comunità ebraica di cui si abbia notizia. Questo documento costituì il pilastro della vita istituzionale degli ebrei di Roma nei secoli successivi, restando in vigore per l’intero periodo del ghetto (1555-1870). I Capitoli segnarono l’atto di nascita della comunità ebraica romana e furono il frutto dell’attenta opera di persuasione e mediazione affidata dal pontefice a Daniel da Pisa, un banchiere toscano in rapporti stretti con la famiglia Medici e ben inserito nel cenacolo umanista del cardinal Egidio da Viterbo. Grazie a questo testo, si mise fine alla fase di tensione e riconfigurazione che si era aperta nel gruppo ebraico dal 1492, con l’arrivo degli ebrei sefarditi. I Capitoli sono arrivati fino a noi in tre copie: la prima, originale e inedita, include elenchi dettagliati di chi lavorò con Daniel per redigere lo statuto; la seconda, successiva, già quasi interamente pubblicata da Attilio Milano nel 1935, poi scomparsa e riemersa solo recentemente, risale agli anni Settanta del Cinquecento e traccia le prime modifiche; la terza, parziale, riporta esclusivamente gli articoli di interesse delle magistrature pontificie. Questo libro pubblica per la prima volta i testi principali, accompagnati da quattro brevi saggi introduttivi che illustrano la storia eccezionale dei Capitoli e dei loro protagonisti e il posto significativo che occupano nella storia dell’ebraismo europeo.
20,00

Un ebreo dimezzato

Un ebreo dimezzato

Ruggero Paolo Jenna

Libro

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

19,00

Zòhar. Un'antologia commentata del massimo testo cabbalistico

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 136

Lo Zòhar è un commento alla Torà, il Pentateuco, scritto sotto forma di romanzo mistico. L'eroe è Rabbi Shim'on figlio di Yochai, un saggio che visse nel secondo secolo in terra d'Israele. Nello Zòhar Rabbi Shim'on e i suoi compagni vagano attraverso le colline della Galilea scoprendo e condividendo i segreti della Torà. A un certo livello di lettura, figure bibliche come Abramo e Sara sono i personaggi principali, e i mistici compagni interpretano le loro parole, le loro azioni e le loro personalità. A un livello più profondo, il testo della Bibbia è semplicemente un punto di partenza, un trampolino per l'immaginazione. Per esempio, quando Dio intima ad Abramo Lekh Lekhà ("Vattene ... verso la terra che Io ti indicherò"), lo Zòhar insiste nel leggere le parole ebraiche in senso iperletterale: "Va' verso di te", cerca profondamente al tuo interno e scopri là il divino.
18,00

L'inferno e il paradiso

Romano Immanuello

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 200

Per celebrare nel modo più eminente la morte di Dante Alighieri, avvenuta nel 1321, il poeta, letterato ed esegeta biblico Immanuello Romano (chiamato dai contemporanei Manoello Giudeo) compose in lingua ebraica l’opera intitolata L’Inferno e il Paradiso, che qui, per la prima volta, compare tradotta integralmente in italiano. Riservando un trattamento eccelso a colui che, parafrasando Immanuello stesso, possiamo definire suo fratello di fede filosofica, il poeta ebreo attribuirà a Dante la duplice natura del profeta e del giusto, dando al primo, cioè a Dante profeta, i tratti del biblico Daniele, che gli farà da guida nel viaggio fra i dannati e i beati, e al secondo, il defunto della stirpe dei santi, i tratti di un Daniele mortale ma destinato a occupare un posto di massima gloria nell’Eternità: in un Paradiso ebraico aperto ai giusti di tutte le nazioni. Per sé, poi, Immanuello auspicherà un Trono di Gloria fra il Trono in attesa del cugino Jehudàh Romano (il metafisico ebreo più vicino alla Sapienza di certi cristiani) e il Trono in allestimento per l’arrivo di Dante (il metafisico cristiano più vicino alla Sapienza di certi ebrei).
20,00

Salvatore Ottolenghi. Inventore della polizia scientifica

Roberto Riccardi

Libro: Libro in brossura

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 200

Roma, 4 giugno 1902. Senza appuntamento, un giovane medico varca la soglia del direttore generale della Pubblica Sicurezza. In pochi minuti convince il ministro Giolitti a creare qualcosa che non esiste: una Scuola di polizia scientifica. Tre mesi dopo, a Regina Coeli, nasce il primo corso al mondo che trasforma l’indagine da pratica empirica a disciplina fondata sulla scienza. Al centro di questa rivoluzione c’è Salvatore Ottolenghi, ebreo astigiano, allievo di Cesare Lombroso, animato dal desiderio di rendere la giustizia davvero giusta. Da lui nascono il cartellino segnaletico, la rete internazionale di cooperazione tra forze di polizia, la carta d’identità italiana. Sotto la sua guida vengono formati i detective che affronteranno casi destinati a entrare nella storia: dal delitto Matteotti allo Smemorato di Collegno, dal mostro Girolimoni ai misteri di corte della regina Elena. Questa biografia restituisce il ritratto di un uomo capace di cambiare per sempre il volto delle indagini, spingendo l’Italia all’avanguardia nella scienza forense. Un’epopea che attraversa mezzo secolo di storia, dal Risorgimento al fascismo, e che ha lasciato un’eredità destinata a resistere al tempo.
18,00

Talmud babilonese. Trattato Makkòt. (Pene corporali). Testo ebraico a fronte

Talmud babilonese. Trattato Makkòt. (Pene corporali). Testo ebraico a fronte

Libro: Libro rilegato

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 448

Il trattato Makkòt appartiene all’Ordine Nezikin del Talmud, dedicato al diritto civile e penale. È strettamente collegato a Sanhedrin, tanto che alcuni lo considerano una sua continuazione, mentre Maimonide lo interpreta come un trattato autonomo. Il nome deriva da makkòt, “colpi”, “percosse”, “pene corporali”, termine che nella Torà ricorre sia in senso letterale sia figurato, fino a indicare le piaghe d’Egitto. Il tema centrale è la punizione corporale della fustigazione, prevista per determinati trasgressori. La Mishnà stabilisce un massimo di 39 colpi, inflitti sotto controllo medico per non superare i limiti consentiti dalla Torà. In realtà, la pena era raramente applicata, data la complessità delle procedure richieste: testimoni affidabili, avvertimento preventivo del reo, e verifiche mediche rigorose. Quando la colpa comportava anche una pena pecuniaria, questa sostituiva la fustigazione. Il trattato chiarisce anche che la pena capitale, pur prevista teoricamente, non veniva quasi mai eseguita. La Mishnà insegna: «Un Sinedrio che condanna a morte una persona ogni sette anni viene chiamato “distruttore”. Rabbì Elazàr ben Azaryà dice: una persona ogni settant’anni. Rabbì Tarfon e rabbì Aqivà dicevano: se noi fossimo stati membri del Sinedrio, non sarebbe mai stato condannato a morte nessuno» (Makkot 7a). Il trattato si articola in tre capitoli. Il primo riguarda gli edim zomemim, falsi testimoni che ricevevano la pena che avrebbero voluto infliggere all’imputato. Il secondo è dedicato alle città-rifugio, dove trovavano protezione e al tempo stesso espiazione gli autori di omicidi colposi. Lì il condannato conduceva una vita dignitosa e, se studioso o maestro, era accompagnato da un maestro o da discepoli, poiché lo studio della Torà è considerato essenziale alla vita. La permanenza in esilio durava fino alla morte del Sommo Sacerdote, ritenuto responsabile di non aver invocato la misericordia divina per evitare simili tragedie. Il terzo capitolo tratta in dettaglio la fustigazione e le sue regole. Non mancano pagine di Aggadà, con insegnamenti morali e spirituali: come l’idea che l’uomo sia guidato lungo la strada che sceglie di percorrere, responsabilizzandolo nelle sue scelte. Il trattato si chiude con celebri episodi legati a rabbì Aqivà. Di fronte alla distruzione del Tempio e alle rovine di Gerusalemme, mentre i suoi colleghi piangono, egli sorride, certo che la realizzazione delle profezie di sventura confermi la futura ricostruzione e la redenzione. Le sue parole diventano un messaggio di consolazione e speranza, tanto che i Maestri esclamarono: «Aqivà, ci hai consolato!».
75,00

Talmud babilonese. Trattato Horayòt. (Istruzioni). Testo ebraico a fronte

Talmud babilonese. Trattato Horayòt. (Istruzioni). Testo ebraico a fronte

Libro: Libro rilegato

editore: Giuntina

anno edizione: 2025

pagine: 288

Il trattato Horayòt è il decimo e ultimo dell’Ordine Nezikin della Mishnà. Breve ma complesso, affronta uno dei temi più delicati: gli errori involontari commessi dalle autorità religiose e giudiziarie – il tribunale, il Sommo Sacerdote e il Nasì (il capo, inteso come re d’Israele). Il titolo significa “istruzioni”, “insegnamenti” o “prescrizioni”: qui si tratta di insegnamenti sbagliati che, pur provenendo da guide autorevoli, inducono l’intero popolo a trasgredire. Il riferimento biblico principale è il quarto capitolo del Levitico, che prescrive sacrifici di espiazione per errori commessi dal Kohen Mashiach (il “sacerdote unto”), dal popolo intero, dal Nasì o da un singolo individuo. A questi si aggiunge Numeri 15, che disciplina i sacrifici collettivi per peccati legati all’idolatria. La Mishnà e la Ghemarà discutono dettagliatamente le diverse situazioni: chi è responsabile del sacrificio? Solo il tribunale, l’assemblea o entrambi? Cosa si intende per “popolo”: l’intera comunità, la maggioranza o persino una sola tribù? E se un giudice aveva dissentito dalla decisione, ricadeva anch’egli nell’obbligo di espiazione? Il trattato dedica ampio spazio alle figure del Kohen Mashiach e del Nasì, analizzando i casi di colpe anteriori o posteriori alla loro nomina, e le differenze tra i vari sacrifici richiesti. Ma dal terzo capitolo il discorso si allarga: partendo dalla distinzione dei ruoli si passa a questioni più generali di priorità nei riti e nelle persone, all’unzione di re e Sommi Sacerdoti, fino ad ampie parentesi aggadiche. Vi si trovano episodi sorprendenti, come una delle più antiche citazioni della cometa di Halley, il racconto dell’istituzione del seder di Rosh haShanà e la vicenda di un tentativo di deporre il Presidente del Sinedrio. I Maestri discutevano queste norme in un’epoca in cui il Santuario era già distrutto e molti precetti risultavano inapplicabili. Già allora, gran parte delle disposizioni aveva valore soprattutto teorico e speculativo. Tuttavia il trattato resta attuale in almeno due sensi: da un lato, quando si riflette sul tema delle priorità e delle risorse limitate – questioni che attraversano ogni società, antica o moderna; dall’altro, nella sua grande lezione sulla fallibilità umana. Anche i più alti responsabili del popolo possono sbagliare, talvolta con conseguenze gravi. Horayòt diventa così una meditazione profonda sull’errore, sul peso delle guide spirituali e sul dovere collettivo di riconoscere e riparare.
65,00

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