Libri di Raffaella Bianchi Riva
Parità di genere e professioni legali. Una lunga storia...
Libro: Libro in brossura
editore: Milano University Press
anno edizione: 2023
pagine: 92
Il volume nasce dall'incontro tra il mondo accademico e l'ambiente professionale, per contribuire, da diverse prospettive e in chiave diacronica, alla riflessione sul tema della parità di genere nelle professioni legali. Alla luce delle differenze ancora esistenti, i contributi affrontano alcune delle principali questioni connesse con l'accesso delle donne all'avvocatura e alla magistratura, dal punto di vista storico e attuale, nel più ampio quadro dell'attuazione del principio costituzionale di eguaglianza. La finalità è anche quella di promuovere una cultura dell'uguaglianza realmente paritaria, vale a dire una cultura capace di muoversi non solo sul piano dell'omogeneità, ma anche su quello della diversità, valorizzando le caratteristiche di ciascuna persona-professionista, in un'ottica pluralistica e inclusiva.
Lo scandalo tra alto medioevo e prima età moderna. Itinerari tra dimensione giuridica, politica e sociale
Raffaella Bianchi Riva
Libro: Libro in brossura
editore: Giappichelli
anno edizione: 2022
pagine: 328
Storia dell'Ordine degli avvocati di Como. Professione, diritto, giustizia
Raffaella Bianchi Riva
Libro: Libro in brossura
editore: NodoLibri
anno edizione: 2018
pagine: 176
La coscienza dell'avvocato. La deontologia fra diritto e etica in età moderna
Raffaella Bianchi Riva
Libro
editore: Giuffrè
anno edizione: 2015
pagine: XIV-378
Il volume ricostruisce il processo di elaborazione delle regole della deontologia forense nei secoli dell'età moderna, evidenziando elementi di continuità e di discontinuità nel lento cammino che ha condotto alla promulgazione dell'attuale codice deontologico e ai dibattiti che lo hanno accompagnato, relativi in particolare alla qualificazione, morale o giuridica, delle norme di condotta professionale. Nonostante la progressiva separazione fra diritto e morale delineatasi a partire dal Cinquecento, norme giuridiche e norme morali continuarono, come nel medioevo, a integrarsi reciprocamente nella disciplina della professione forense. Ben distinte erano, invece, le conseguenze derivanti dalla violazione delle regole professionali sul piano morale (peccato) e giuridico (responsabilità civile, penale e disciplinare). A causa della difficoltà di inquadrare alcune fattispecie deontologiche in norme giuridiche, la minaccia del peccato rappresentò, in molti casi, un 'rimedio' più efficace rispetto alle sanzioni giuridiche per imporre al ceto forense il rispetto delle regole professionali: in caso di contrasto fra norme giuridiche e norme morali, erano dunque queste ultime a prevalere. Questo spiega anche il rilievo assunto dal concetto di coscienza nell'orientare le scelte professionali dell'avvocato nel costante bilanciamento fra la collaborazione all'amministrazione della giustizia e la tutela degli interessi del cliente: un concetto che è sopravvissuto sino al codice deontologico attuale.
L'avvocato non difende cause ingiuste. Ricerche sulla deontologia forense in età medievale e moderna. Volume Vol. 1
Raffaella Bianchi Riva
Libro: Libro in brossura
editore: Giuffrè
anno edizione: 2012
pagine: XII-284
Il libro individua alcuni presupposti dell'attuale deontologia forense e ripercorre l'evoluzione della regola professionale nella quale si compendia il ruolo dell'avvocato nell'amministrazione della giustizia. Nell'età del diritto comune, tale regola venne ricondotta al divieto di difendere cause ingiuste. La riflessione sul tema era stata preceduta dal dibattito sull'obbligo del giuramento, che richiamava l'avvocato al rispetto dei doveri fondamentali della professione e che era imposto, in forme diverse, sia dalla compilazione giustinianea, sia dalle legislazioni canonica, regia e statutaria. La generalizzata inosservanza dell'obbligo del giuramento da parte del ceto forense indusse la dottrina giuridica e teologica non solo a denunciare gli abusi della prassi giudiziaria, ma anche ad elaborare autonomamente il contenuto del divieto di difendere cause ingiuste. Ad impegnare la dottrina fu soprattutto la definizione del concetto di causa ingiusta, su cui si fondava la regola e dalla quale dipendeva la possibilità dell'avvocato di assumere il mandato difensivo, che oscillò fra soluzioni che limitavano la categoria alle cause giuridicamente infondate a soluzioni che, invece, vi ricomprendevano anche quelle sostanzialmente ingiuste.