LuoghInteriori: Interline@

Tra il bene e il male esiste uno spazio: la “terra di mezzo” che rovescia la geografia delle nostre certezze. Quel vuoto eppure pieno, bianco come una pagina e nero come ogni lettera de Il cane può morire. Questo è lo spazio della verità. Questa è la sfumatura capace di definire. Questo è il territorio di confine che separa un ragazzo per bene da un altro se stesso: senz’anima, né sguardo, né calore, né spirito. Niente. Un uomo cattivo. Un uomo perso. Ma è l’ora di finirla con i facili giudizi di fronte al peccato d’ogni scampolo d’ottusa umanità. Perché questa storia non alza il bastone contro l’intimo animale che c’è in noi, piuttosto parla all’indifferenza, al silenzio di chi non riesce più a scegliere a chi o cosa obbedire. Parla al cuore e al cervello come una droga. Ci insegna che siamo noi stessi una droga. Ma stavolta l’ultima crisi sarà la peggiore di tutte, quando capiremo che – nonostante tutto – sta sempre a noi scegliere da cosa dipendere.

Gli amori dell’adolescenza sono diversi da tutti quelli che verranno dopo. Fulminei, esplosivi, sinceri, superano ogni ostacolo, per fermarsi soltanto di fronte all’arrivo del domani: la paura dell’ignoto, i doveri dell’età adulta. Per tutta la vita cerchiamo di rincorrerli, di riaverli indietro, di ritrovare quella stessa intensità in altre storie, più mature e consapevoli, ma altrettanto importanti. Altre volte può capitare che gli anni passino, nell’incessante ricerca di quegli stessi occhi di cui per primi ci siamo innamorati. Di quelli, non di altri. Il ricordo dell’amore lontano si farà così dolce e amaro, sospeso in un limbo che non sembra lasciarci liberi dal passato. Infine c’è chi, come la protagonista del romanzo, trasforma i ricordi in una storia da rileggere a testa alta, senza rimpianti.

La facoltà di risolvere un caso sta spesso nel saper buttare i dati inutili che tolgono spazio a quelli utili. Come se la mente fosse una modesta soffitta da ordinare con criterio, se non vogliamo che diventi un sottoscala confuso e pieno di ciarpame. Osservare attentamente vuol dire ricordarsi distintamente: situazioni, reazioni, piccoli particolari cruciali per trovare la soluzione al rebus di un delitto. Come quello che ha sconvolto l’Hotel Verde Mare, meravigliosa struttura a 5 stelle sulla costa ligure, turbata da due brutali omicidi. Ma la storia di un crimine è davvero interessante quando ci fa più domande che darci risposte. E tra intrighi finanziari, amori traditi, falsa morale solo un uomo riflessivo e razionale come il commissario Milani potrà forse scovare il colpevole. Perché solo indossando gli occhiali del ragionamento e dell’analisi si vedono le cose invisibili agli occhi del corpo.

Questo romanzo è la vera storia di una napoletana e di un lecchese che si incontrano per la prima volta a Torino nel 1965: lei 18 anni, lui 20. Ed è una storia autobiografica. Dopo pochi giorni di pudica frequentazione, il cui ricordo ha pervaso il loro cuore per tutti gli anni a seguire, i due ragazzi si incontreranno di nuovo dopo 46 anni, dopo aver vissuto ognuno la propria vita. Ormai liberi entrambi da un precedente matrimonio, daranno corpo a quei sentimenti celati e repressi in tanti anni di lontananza e ricominceranno una nuova vita insieme. Essendo la sua storia, l’Autrice racconta tutto quello che è avvenuto nella sua vita, nel lungo arco di tempo durante il quale è stata separata dal suo più grande amore. Una vita per nulla lineare, caratterizzata da diversi eventi straordinari, da casi di omofobia a episodi di stalking, da tentati suicidi a fughe da casa, dalla confusione scatenata all’Università di Heidelberg all’arresto all’Università della Sorbona. E molto altro ancora. Trattandosi di un periodo storico particolare, l’Autrice ha dovuto contestualizzare la storia inserendo i numerosi e destabilizzanti movimenti a cavallo del ’68, comprese le atroci attività terroristiche praticate dagli anarchici e dalle Brigate Rosse; non trascurando il racconto degli eventi più importanti avvenuti in Italia, oltralpe e oltreoceano.

Bisognerebbe ricordare sempre gli anni, anche se sono una gomma sui contorni delle cose, che passa e ripassa sui giorni che più ci feriscono. Questo è lo sforzo di Anni perduti, opporsi al pensiero intollerabile di un tempo che cancella ciò che è stato e che – come una morte – scrive la parola fine sul discorso di una vita. Perché un colloquio col passato è sempre aperto, perché ci sono anni che rispondono alle domande nascoste dentro di noi. Quegli anni che sono un po’ come la chiusura di un cerchio, la fine di una vita e l’inizio di una nuova esistenza. Il protagonista di questo romanzo ha già vissuto più volte. Tra storie di degrado e solitudine, c’è la più sofferta delle sue esistenze ma anche quella che parla di una vera amicizia, e con essa degli anni ’80. Un decennio difficile, violento, disperato per tanti adolescenti perduti che, anche se è difficile crederlo, è esistito realmente.

Non ci fa soltanto ridere di gusto, ma sorridere con l’originalità di una storia che fa bene al cuore, un antidepressivo naturale contenuto dentro una confezione sui generis: un libro fatto e stampato, già pensato per curare qualsiasi patologia dell’anima. No ad angoscianti fogli illustrativi, No all’ansia diffusa di possibili effetti collaterali, questo romanzo dice No a chi sostiene che per combattere i nostri fantasmi serva solo la ragione e mai il sentimento. Perché di sentimenti è ricchissima questa storia leggera, ironica, divertente e imbarazzante, che ci racconta la vita di una quarantenne alla ricerca di se stessa e del vero amore. Tra cure di bellezza, filosofia olistica e meditazione, Kitti riuscirà a trovare quello che sta ancora cercando e a scoprire il vero senso della vita?

Qualcuno ha detto che ridere di gusto, ottenere il rispetto delle persone intelligenti e l’affetto dei bambini significa avere successo, accettarsi, riuscire a sentirsi splendidi. C’è un po’ di tutto questo nella protagonista di Riscatto, una donna che racconta la sua vita segnata da un contesto familiare violento e dalla difficile battaglia contro l’anoressia e la bulimia. Non sempre si ha fame di vita, anzi gli abusi che questa ci riserva causano spesso chiusura, straniamento, ossessione. Ma per fortuna, come diceva Alda Merini, «se diventi farfalla nessuno penserà più a ciò che sei stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali». Riscatto è un romanzo tratto da una storia vera, intensa, toccante, a tratti crudele, ma d’ispirazione per tutti coloro che combattono per una vita migliore, per accettarsi e riuscire a sentirsi belli per il semplice fatto di aver voglia di esserlo.

La vita, in fin dei conti, è essenzialmente tragica, se non fosse davvero divertente, come questo libro, che ha un modo tutto suo per proteggere i sentimenti sotto strati di cinismo e d’ironia in una storia dura, complicata, sorprendente. Un’indagine imprevista riempie la miserevole esistenza di Edmondo Solfizi, anonimo perito assicurativo che imbocca un percorso obbligato verso il suo destino. Non è detto che indagare ci salvi dalla morte, ma è sicuro che ci insegni a vivere. Ed è proprio questa preziosa lezione che Edmondo ha colto nel vero senso della parola. Non c’è logica nel percorso che tutti dovremo tracciare su questa terra, così non ci è dato sapere quale sarà la nostra ultima volta… aprire gli occhi, pensare, respirare: essere come una stella già finita che viaggia fino a noi ancora nel vuoto. L’importante non è esistere ma Significare. Dare un senso. Scoprire.

Nella Taormina della seconda metà dell’Ottocento, un povero paese della Sicilia orientale il cui luminoso passato era testimoniato da alcuni nobili edifici e da monumenti insigni, bisognosi forse di qualche restauro, e la cui amenità e bellezza paesaggistica era comprovata da un cielo sempre azzurro e da un panorama fantastico sulla costa jonica e su un mare incredibilmente blu, cominciano ad arrivare alcuni grandi tedeschi: i primi sono Ottone von Geleng e il giovane e ricco gaudente Wilhelm von Gloeden. Pittore insoddisfatto il primo e grande fotografo in pectore il secondo, entrambi s’innamorano di questa cittadina addormentata e dell’umanità della sua gente e decidono di viverci per sempre. La storia di questi e altri personaggi più o meno importanti, che hanno favorito la trasformazione di Taormina da borgo rustico a perla dello Jonio, meta del turismo internazionale per tutto il Novecento, è descritta dall’autore basandosi su un’ampia bibliografia esistente sull’argomento e immaginando come l’avrebbe potuta raccontare Pancrazio Bucinì, il cameriere di casa Gloeden che ha vissuto col barone Guglielmo per quasi quarant’anni e ne ha ereditato l’attività fotografica, seppur con successo decisamente diverso. L’inizio della storia coincide con la data di arrivo a Taormina di Ottone Geleng (1863) e si conclude con l’Anno Santo del 1950, quando già s’intravede la trasformazione del turismo taorminese da fortemente elitario a una forma diversa, accessibile a famiglie e comitive italiane e straniere.

Per salire sul palcoscenico di un libro ci vuole coraggio, esercizio, una buona dose d’ironia e d’autocontrollo da recitare sulla carta. Occorre, in poche parole, essere grandi attori per interpretare se stessi. Così questo romanzo, che è la prima parte di una ricca epopea esistenziale, diventa un vero e proprio Teatro, dove la vita è tutto: la sala, gli attori, il regista, il pubblico, perfettamente intervallati dalla filarmonica dei ricordi. Perché si sa, quando sul palcoscenico qualcosa non quadra, è allora che attacca l’orchestra, con quella melodia che parla al cuore, che vive di passato, che è memoria di cose semplici e genuine. La vita che Piermaria Cecchini ci racconta non si fa in silenzio, è l’opera prima che tutti recitiamo a braccio senza conoscerne il copione. Una rappresentazione che vale la pena di essere raccontata, sempre e comunque. La sua – di attore, regista, sceneggiatore, uomo semplice e appassionato – è una vita abbastanza… fantastica, eccezionale o semplicemente abbastanza… bella o brutta non importa, ma abbastanza… da non essere chiusa nel cassetto delle cose mai raccontate. Insomma, una vita tutta da mettere in scena sul palco della pagina, che affida al bianco luminoso del foglio il compito di accendere le parole più vere. Una storia che alla fine ci porta tutti sul palcoscenico, senza nemmeno farci accorgere che in platea non è rimasto più nessuno.

È strano, ma a volte accade che un personaggio si liberi della penna del suo autore, e crei una storia inaspettata. Più interessante delle altre? si chiederà subito il lettore. Forse sì, ma poco importa in casi come questo, perché il risultato non è una storia nuova, ma una storia libera. La Figlia del falconiere è un romanzo fantasy dal ritmo incalzante, che si libera da schemi narrativi definiti e apre al lettore una strada sconosciuta da percorrere, che è un po’ come intraprendere un cammino di crescita e metamorfosi verso l’equilibrio tra gli opposti che affliggono il mondo, in volo come un falco tra il cielo e la terra. Sarà una strada impervia, fatta di amore e dolore, resistenza e fede nei propri ideali. Non si tratterà di ammirare il nobile falco dal basso, ma di ritrovarsi passo passo in volo, sospesi fra le ali di un storia che dà ai suoi personaggi la chiave per volare da soli e riuscire a diventare creature libere.