Mondadori: Lo specchio
Staminali eterne
P. Luigi Bacchini
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 176
Ecco un libro che ci arriva come una autentica, sorprendente novità a dieci anni dalla morte dell'autore. Poeta di inconfondibile fisionomia, in cui la complessità del pensiero si esprime nel segno di un costante rapporto tra reale dell'esperienza e senso attivo della natura, Pier Luigi Bacchini ha proseguito con incessante energia intellettuale la sua ricerca anche negli ultimi anni di vita. Il frutto ce lo rivela oggi l'attenta, puntuale devozione del figlio Camillo, che ha curato Staminali eterne, raccolta quanto mai variegata e ricca che, come argomenta Alberto Bertoni nel saggio introduttivo, si pone ai maggiori livelli dell'opera di Bacchini. Eccoci allora a vivo contatto con una narrazione lirica sempre aperta, tra memoria e storia, fino al tempo della guerra, con la presenza di innumerevoli figure minimali che si incidono nella pagina e diventano veri e propri personaggi. Ne nasce uno stillicidio multiforme di situazioni concrete in inquieti paesaggi: tra campagna agricola, torrenti, fiumi, mari, città. In questo libro postumo si respira a volte un'atmosfera di «composta disperazione», con presagi di fine nella vecchiaia di chi continua a osservare, sensibilissimo e reattivo, il mondo. Fedele alla sua ispirazione di autore immerso nell'universo naturale, Bacchini si conferma qui magicamente in sintonia con la dimensione animale e vegetale, oltre che in ascolto del «suono» che viene dal suo stesso corpo. A tutto questo si aggiunge un approdo religioso, cristologico, tra «anatomia vegetale» e riflessione sulla «fatica di Dio», in una indagine sulla bellezza, che si manifesta paradossalmente a volte in «un contrasto spettacolare di mostruose stranezze». Il tutto realizzato nei termini di una geniale libertà stilistica e, come scrive sempre Bertoni, in una «scrittura musicale alla Debussy, un po' come nel proto Montale degli Accordi». Staminali eterne è dunque, al tempo stesso, l'alta conferma e un formidabile nuovo capitolo di una delle vicende poetiche di più singolare vitalità, tra sostanza di pensiero e libertà nella forma, della nostra poesia negli ultimi decenni.
Poeti iraniani. Dal 1921 a oggi. Testo originale a fronte
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 444
Paese delle cupole celesti, di profeti e sfarzosi sovrani, di deserti e di lussureggianti giardini, terra di santi, carovanieri e astronomi, l'Iran è noto in Occidente o per il suo passato leggendario oppure per il suo drammatico presente. Echi di un mondo fiabesco da Mille e una notte si sono mescolati, nell'immaginario collettivo, con scene tratte dai reportage di viaggi esotici facendo - di quella iraniana - una cultura tanto idealizzata quanto, nel profondo, poco conosciuta. Tutti da scoprire, per i lettori italiani, sono sia lo speciale rapporto che lega gli iraniani alla poesia (la poesia tout court ma anche la tradizione classica di Firdusi, Hafez, Sa'di, Rumi, Khayyam, 'Attar, per fare solo qualche nome) sia il fondamentale contributo che l'Iran ha dato alla lirica del Novecento - in termini ora di opposizione ora di testimonianza dei profondi mutamenti politico-culturali che hanno segnato la storia del Paese. Sono trascorsi poco più di cento anni dalla nascita della Poesia nuova, il movimento poetico che nel 1921 portò la letteratura dell'Iran ad aprirsi al mondo entrando nella modernità. Un secolo che questa antologia documenta allineando i dodici poeti più rappresentativi, con i loro volti, le biografie, i versi. Dal fondatore della Poesia nuova, Nima Yushij, alla voce sperimentale e innovativa del poeta-profeta Ahmad Shamlu, il cui grido contro la corruzione e la censura ha scosso le coscienze; da Ziya' Movahhed, con la sua scrittura minimale, limpida ed euritmica, a Garous Abdolmalekian, interprete di una vibrante poesia civile. Da Shafiei Kadkani, grande esperto di retorica classica che, sulla scia di Akhavan Sales e Sohrab Sepehri, fonde la tradizione letteraria con le più amare riflessioni contemporanee, a Seyyed 'Ali Salehi, fautore della Poesia parlata. Imprescindibile presenza è quella della libera e personalissima testimonianza di Forugh Farrokhzad, la cui poetica intimista e spregiudicata dà voce alle emozioni e alla determinazione di una giovane donna in cerca di libertà espressiva; e poi, ancora, si va dal poliedrico cineasta Abbas Kiarostami, all'art pour l'art di Bijan Jalali e Yadollah Royai che, distaccandosi dall'impegno civile, si concentrano sulla resa estetica e filosofica del testo attraverso lo sperimentalismo. Una galleria di figure poetiche diversissime tra loro, per intonazione e generazione, qui convocate a rappresentare la voce di un intero popolo. Lo scrive Kiarostami: «Dalla feroce sorte / il rifugio è poesia / dalla crudele amata / il rifugio è poesia / dalla palese tirannia / il rifugio è poesia».
Poesie 1904-1914
Aldo Palazzeschi
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 392
Nel puntiglioso e complesso lavoro di ripresa e allestimento della propria opera, il capitolo delle poesie giovanili di Aldo Palazzeschi conosce alcune tappe essenziali: la più importante e definitiva è quella del 1958, quando appare l'edizione che rappresenta il frutto maturo e compiuto di una sistematica riorganizzazione di tutta la prima, decisiva fase della sua opera, sotto la «lente» ironica del «saltimbanco». Simone Magherini, nella Post- fazione, ce ne racconta con precisione l'intera vicenda. Palazzeschi aveva pubblicato, nella giovinezza, alcune raccolte che già, e in modi diversi, ne avevano espresso la ricca e quanto mai singolare e vivace personalità, e dunque I cavalli bianchi (1905), Lanterna (1907), Poemi (1909), aderendo poi al futurismo, come attestato da L'Incendiario (1910 e 1913), e dedicandosi anche alla narrativa con Il Codice di Perelà (1911). Nel riprendere e riorganizzare i propri versi, il poeta in varie fasi introduce nuovi testi e apporta correzioni, pur senza alterare in modo sensibile la fisionomia e la natura della sua opera giovanile, nella quale, come sottolinea Magherini, una componente «incendiaria» (futurista) vive accanto a una «sentimentale» (crepuscolare). E si tratta di una giovinezza letteraria che ha assunto un importante valore storico, come lo stesso autore ebbe modo di dichiarare: «La mia giovinezza era già finita, quando venne la guerra del '15. Sono stato veramente giovane dal 1904, dal tempo delle mie prime poesie, fino al 1914. Una giovinezza piena, ardente, matura. Non ebbi giovinezza prima del 1904, non l'ho più avuta dopo». Una giovinezza di sbrigliata avanguardia, di personale sperimentazione, secondo una linea che Edoardo Sanguineti colloca «tra liberty e crepuscolarismo», in netta, esplicita contrapposizione rispetto al linguaggio e agli accenti della tradizione lirica, con l'abbassamento dei toni e dei registri linguistici, con l'uso dell'ironia e del grottesco e, in rapporto al futurismo, assumendone solo in parte i dettami; in sintesi, come ha scritto Pier Vincenzo Mengaldo, realizzando in modo inconfondibile e ancora oggi, per noi, coinvolgente «un'integrale teatralizzazione» del discorso lirico.
La scatola onirica
Maurizio Cucchi
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 152
Va verso nuovi territori l'opera di Maurizio Cucchi, che in questa "Scatola onirica", oltre a indagare un nuovo spazio topografico - Casa Cucchi, località in provincia di Pavia -, declina la ricerca identitaria lungo un più temerario viaggio, verso una lingua primigenia, fino al «primitivo mugugno» dell'«homo ergaster». Diviso in sette sezioni, "La scatola onirica" si apre sulle connessioni frammentarie di un antico Quartiere di lignaggio, sede di genti ancora estranee all'«homo oeconomicus», realtà in cui la tensione etica si esprime sempre attraverso una «geografia del minimo». Ma Casa Cucchi non è che il luogo propedeutico di ritorni memoriali, concessi dalla dimensione del sogno. Non a caso la seconda sezione, Macchina onirica, ci restituisce l'antitesi tra sonno e veglia, intervallo in cui passato e presente si saldano. Il sonno dilata l'epica di un frammento ricco di congiunzioni, quasi un'unità anelata rispetto al «precario esserci» del reale. Tutto è ricondotto al potenziale illimitato (e sconosciuto) della mente, fino quasi a metterne in dubbio l'esistenza nell'ultimo capitolo, Mente cielo materia. D'altra parte pochi poeti come Maurizio Cucchi sanno abitare lo spazio frontale del tragico, con disinvolta levità, mai riparato da alibi consolatori. Riappare, in Sfiorando l'afasia, un remoto personaggio come Sabatino, ossessionato dall'etimologia, la stessa che ci conduce a evidenti contraddizioni semantiche che si sviluppano nella mobilità di temi e di molteplicità metrico-prosodiche. Una possibile risposta al rischio afasico si evidenzia nella sezione L'immagine, la parola. Dalle opere di ventidue grandi artisti, il poeta traccia una riflessione filosofica e sociale. Se Cucchi da sempre ci ha messo a parte della potenza evocativa del frammento, qui le sconnessioni si inabissano nel mistero contraddittorio della lingua, per giungere infine a un rapporto frontale tra immagine e parola, tra etica ed estetica, parafrasando l'anima di ogni opera rappresentata, che non è che il riflesso - spoglio di autoinganni - delle nostre vite.
Lettere a Clizia
Eugenio Montale
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 432
Un giorno d'estate del 1933, a Firenze, un'intraprendente giovane americana bussa alle porte del Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux per conoscere il poeta degli Ossi di seppia, che dirige l'antica istituzione. La ragazza, alta, snella ed elegante, è Irma Brandeis (1905-1990), ebrea newyorkese, italianista, francesista e anglista, traduttrice e scrittrice in proprio. È un classico coup de foudre, destinato a segnare nel profondo la vita dei due protagonisti e tutta la successiva poesia montaliana. Del loro straordinario carteggio, durato sette anni, sono sopravvissute soltanto le oltre 150 lettere di lui, che Irma volle donare al Vieusseux e che furono pubblicate per la prima volta nel 2006. Così ne parla Rosanna Bettarini: «Missive dal tratto forte, delicato e feroce, che giorno dopo giorno costituiscono di fatto un racconto amaro e dolce, d'amore e di rancore, un documento frammentario di fede e di disperazione, di gossip velenoso, di malizie e di pietà; un testo autobiografico e privato sì, ma spesso così letterariamente pepato, stuzzicante proprio là dove non dice e non racconta, così ellittico, evasivo e cifrato da sollevare il lettore da ogni senso di colpa nel porre la lente sui dettagli degli amori altrui. Così il poeta schivo, eccitato da un incontro che ha i segni del destino, visitato da una vera Musa in forma di donna ornata di frangetta e di orecchini, qualche tempo dopo chiamata Clizia, tortuosamente comincia a limare dentro di sé parole e metriche nuove per il mutato stile del libro delle Occasioni».
Traduzioni disperse e inedite
Franco Fortini
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 328
Figura di grande rilievo nella cultura del Novecento, Franco Fortini ha spaziato nei più diversi campi della ricerca letteraria: dalla poesia alla critica alla narrazione, con una decisa presenza anche come traduttore. Testimonianza esemplare di questa attività è l'autoantologia "Il ladro di ciliege" (1982), un "quaderno" di versioni poetiche da diverse lingue apparentabile a quelli di Sereni, Montale, Bertolucci e altri, che Luca Lenzini ha voluto accogliere nel volume complessivo "Tutte le poesie" (2014). Lo stesso curatore ci propone oggi un'ampia ulteriore silloge di traduzioni che attinge dall'Archivio dello scrittore. Fortini aveva esordito con la prosa nel 1942, traducendo "Un cœur simple" di Flaubert; e con la prosa, del resto, continuò a cimentarsi, lavorando su Gide, Proust e Kafka. Di sostanziale valore anche ai fini della riflessione teorica fu il suo approccio a Brecht, come attestano le sezioni intitolate "Traducendo Brecht" di "Una volta per sempre" (1963), momento significativo della sua opera di poeta in proprio; senza dimenticare la grande impegnativa impresa del "Faust" di Goethe (1970). Ma lo sconfinato viaggio di Fortini nel mondo della traduzione poetica conta anche episodi rimasti in ombra e degni di riproposta. Oltre alla frequentazione assidua, insieme alla compagna Ruth, della poesia tedesca, la sua vicinanza con la letteratura francese è mirabilmente attestata in versioni da Rimbaud e dai surrealisti; e sorprendente è la traduzione da Chrétien de Troyes apparsa nel «Politecnico» di Vittorini. Sempre lucidamente immersa nel suo tempo anche quando si misura con i classici, l'esplorazione militante di Fortini si muove (in collaborazione con esperti) in molte letterature, come quella polacca o ungherese – con esiti talora memorabili, come Poesia agli adulti di Ważyk (1956) – o spagnola: l'amatissimo Machado, ma anche Manuel Altolaguirre. Tanto libera, complessa e vasta è la sua avventura di traduzione poetica che è impossibile circoscrivere altre zone e autori presenti in questo libro, dove non manca neppure una "traduzione immaginaria" dal cinese, a rammentarci un "genere" teorizzato con originale acutezza da Fortini. A trent'anni dalla sua scomparsa, il lettore avrà uno strumento ulteriore per conoscere la personalità, così vitale e molteplice, di un protagonista della nostra scena letteraria.
I fiori del male di Baudelaire
Milo De Angelis
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 440
Rieccoci all'opera di un poeta esemplare, Charles Baudelaire, la cui assoluta, dirompente originalità ha trovato in ogni epoca nuove e appassionate adesioni e nuovi traduttori, spesso tra le figure di maggior risalto della poesia del loro tempo. Così avviene ora con Milo De Angelis, che ce ne fornisce una nuova versione d'autore. Classico e innovativo al tempo stesso, nei Fiori del male Baudelaire ha saputo esprimere la sua osservazione sensibile del mondo e dell'esistere nell'eleganza sempre impeccabilmente elevata della pronuncia e dello stile, anche trattando di una realtà umile e bassa, e in questo aprendo la ricerca poetica a una testimonianza della infinita complessità dell'esistenza. Attratto da un carattere ben riconoscibile dei Fiori del male , e cioè la sapiente inscindibile coesistenza di alto e basso, di sublime e orribile, il nuovo poeta-traduttore ha ben colto il formidabile senso, in Baudelaire, di una doppiezza che si manifesta nelle varie espressioni del reale, e dunque sia nella cangiante personalità femminile sia nella visione della città, entrambe da lui vissute e cantate con adesione e insieme con sottile sofferenza, al punto da gridare «Ti amo, infame capitale». Nella costante doppia articolazione del volto del mondo agli occhi del poeta risiede l'identità stessa della sua poesia, in cui comunque si impongono altri grandi temi: oltre a Parigi e alla donna, anche il viaggio, lo spleen , e le infinite corrispondenze che si intrecciano tra le cose facendo delle nostre vite «foreste di simboli». Intimamente coinvolto dalla sfida di una vertiginosa voce poetica che nel giro di pochi versi si getta a capofitto dall'azzurro all'inferno, e passa dalla morte alla preghiera, dalla pienezza dei sensi a immagini di decomposizione, dall'opulenza agli stenti, De Angelis si attiene strenuamente e con grande efficacia alla lettera dell'originale, e ci regala un Baudelaire profondamente suo ma che nello stesso tempo rimane profondamente se stesso nel verso e sulla pagina.
Ossi di seppia
Eugenio Montale
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 384
Capitolo decisivo della poesia del Novecento, Ossi di seppia è un'opera sempre aperta, capace di rinnovare nel tempo, in modo sorprendente, l'originalità e lo spessore delle sue proposte, di pensiero e di soluzioni espressive. A quasi un secolo dall'uscita, avvenuta nel 1925 presso l'editore Gobetti, l'aggiornamento dell'imprescindibile e ormai classica edizione commentata da Pietro Cataldi e Floriana d'Amely offre una nuova occasione per rileggere la raccolta d'esordio di Montale. La introduce uno storico e fondamentale saggio di Pier Vincenzo Mengaldo, che ne analizza temi e stile osservando che la presenza, così importante, del mare «è bivalente: perché dal mare l'io si sente quasi risucchiato, potentemente, come dall'elemento mitico per eccellenza vitale, ma insieme ne è rifiutato, espulso, confinato a terra; il mare è dunque la pienezza, l'integrità impossibile, quella della Vita stessa, contemporaneamente cantata a piena voce e negata al soggetto che la canta». Mentre, sulla visione del mondo montaliana, il critico osserva come non sia esagerato «parlare di posizioni pre-esistenzialiste, anche se di fatto poggiano su altri fondamenti filosofici». Siamo dunque accompagnati nella lettura o nella rivisitazione appassionata degli Ossi di seppia da guide d'eccellenza, come anche Sergio Solmi, di cui è qui riproposto un saggio del 1926, scritto quindi l'anno che segue la prima edizione (la seconda, con ampliamenti e ristrutturazioni, apparve nel 1928, con introduzione di Alfredo Gargiulo). «Poesia fatta di sotterranei trasalimenti, di silenziosi distacchi, di rassegnate riflessioni», ci dice appunto Solmi, rilevando opportunamente «l'aspirazione classica che vive al fondo di questa originale natura di poeta». E ora che questo libro è a tutti gli effetti diventato un classico, sta ai nuovi lettori trovare una volta ancora, nel «male di vivere», il «fantasma che ti salva»; mentre più che mai viva è la necessità, storica ed esistenziale, di sapere «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Nel concerto del tempo
Marco Pelliccioli
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2024
pagine: 160
Figura di rilievo e voce autonoma della nostra nuova poesia, Marco Pelliccioli ci offre qui, nella spoglia concretezza viva del suo stile, un ampio quadro di personaggi e situazioni in cui un passato anche lontano viene a porsi sottilmente in confronto con la mutata realtà dell'oggi. "Nel concerto del tempo" procede essenzialmente nei termini di una narrazione condotta attraverso la memoria da una voce fuori campo, una "controfigura" che riporta a galla volti spesso familiari in una galleria di umili apparizioni. Nel pacato ed efficace alternarsi di prosa poetica e versi, Pelliccioli oscilla tra dimensione orizzontale e verticale, portando sulla scena oggetti domestici e amuleti, dettagli di quotidianità, senso di nascita e morte, presenze e sparizioni, piante e piccoli animali, parole prelevate da un dire talvolta dialettale. Ecco allora l'Angiolina, l'Agnese, la Nunzia o la Martina, e insieme a loro anche l'Alberto e lo storpio, la loro «epica sconnessa», nel «tempo che indocile non passa». Si tratta di un tempo che è anche il tempo storico, con sottostanti riferimenti a vicende accadute ed entrate nella cronaca, se non negli annali. Ci troviamo di fronte a «invisibili creature / che nuotano nel cielo», offerte dal poeta che coglie al contempo l'affacciarsi problematico di una contemporaneità divenuta, come è sempre più evidente, meccanica e tecnologica. Il percorso dell'opera si svolge in una sorta di articolata coerenza poematica, fitta di rimandi interni, nell'impeccabile controllo stilistico di una musica che passa dal recitativo al canto sommesso, in momenti di un netto realismo, non senza aperture oniriche, con tratti di un'efficace e oggi insolita, ma innovativa, lieve coloritura espressionistica.
Madre d'inverno
Vivian Lamarque
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2023
pagine: 144
Vivian Lamarque possiede una rarissima dote: sa rendere lievi gli strappi dell'emozione più complessi e profondi. E ne sa comunicare tracce ed esiti con la grazia sottile della sua impeccabile petite musique. Ne aveva già dato importanti prove nelle sue opere, da Teresino a Una quieta polvere. E lo conferma in Madre d'inverno dove, già dal titolo, indica il percorso centrale di una raccolta che si sviluppa in varie direzioni. L'idea e la figura materna, dunque, vissuta nel trauma originario – accettato con sapienza eppure inguaribile, nel paradosso e nel dolore – della sua doppia immagine, quella della madre biologica e quella della madre adottiva. In uno scenario aperto e sofferto, fitto di elementi di concretissima realtà quotidiana, dove si intessono frammenti di dialogo e schegge di parlato, si passa da una iniziale sequenza ospedaliera a versi in cui si realizza una sorta di postumo colloquio con la figura materna. Il coinvolgimento del lettore scatta immediato poiché, partendo dalla propria esperienza personale, l'autrice mette a punto un vasto disegno in cui la madre diventa una forma assoluta, l'emblema di tutte le madri. Nella mobile ricchezza di un'opera composta in un ampio arco di tempo, e successivamente ancora rivisitata, l'autrice si rivolge alle più svariate tracce della memoria, fino a introdurre, improvvisa, "l'altra madre", quella biologica, insinuando, in un tono di assoluta normalità antiretorica – e perciò ancora più autentica –, un senso di pervasiva, interiore instabilità. Lamarque è per fortuna ben lontana dal chiudersi in un territorio tematico senza sbocchi, e infatti si apre a varie "avventure", ad altre madri espressive. Fino a coinvolgere l'esempio di Wisława Szymborska; fino a coinvolgere una sua «coinquilina poco prevedibile», e cioè la poesia stessa, di cui, con la sua voce inconfondibile, si conferma una delle nostre espressioni più vive, originali e giustamente amate.
Sulla poesia
Eugenio Montale
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2023
pagine: 696
Sempre più netta appare nel tempo la sorprendente identità di classico di "Sulla poesia". Duplice il suo valore: da un lato, infatti, questo libro permette di accostare in modo nuovo e approfondito numerosi autori di varie letterature, dall'altro offre la possibilità di entrare nel vivo e nel dettaglio dell'opera stessa di Eugenio Montale. "Sulla poesia", apparso per la prima volta nel 1976, è infatti un libro composito e internamente articolato in nove capitoli, nei quali il poeta è presente con discorsi (ad esempio quello scritto in occasione del Nobel), autocommenti e interviste, ma soprattutto ragiona su figure di epoche e culture diverse. Eccoci allora, in questi interventi per lo più usciti su riviste e giornali come il «Corriere della Sera», di fronte a nomi di grandi poeti molto lontani tra loro: da figure centrali dell'Ottocento a Valéry, Eliot, Pound, Auden, oppure Saint-John Perse, Char, ma anche Jiménez, Kavafis, Majakovskij, Pasternak, fino ai nostri D'Annunzio, Pascoli, Gozzano, Campana, Sbarbaro, arrivando ad autori di generazioni successive, come Bertolucci, Sereni, Zanzotto. Le riflessioni di Montale spaziano, sul piano teorico, dalla diffusa tendenza a una poesia oscura a quella della poesia in prosa, indagando momenti e orientamenti spesso decisivi nella ricerca espressiva del secolo scorso. Nella scrittura, come ha opportunamente rilevato Ida Campeggiani nel suo ampio e denso saggio introduttivo, Montale impone «una particolare aura di leggerezza», fortemente comunicativa pur nello scavo in profondo della sua analisi, mostrandosi «ironico e fulminante nei modi», offrendo spazio a humour e paradosso, utilizzando «metafore rapide, come brevi accensioni», giocando su un lessico colloquiale per esprimere concetti in realtà tutt'altro che ovvi.
Poesie
Seamus Heaney
Libro: Libro in brossura
editore: Mondadori
anno edizione: 2023
pagine: 992
La riproposizione dell'ampia autoantologia disegnata dal grande poeta irlandese, Premio Nobel per la Letteratura nel 1995, appositamente per il proprio Meridiano (uscito postumo nel 2016) ci dà modo di tornare a uno dei percorsi poetici di maggiore risalto e autenticità, in campo internazionale, tra Novecento e nuovo millennio. In questi testi, composti nell'ampio arco temporale di quasi cinquant'anni, Seamus Heaney ha saputo esplorare a fondo la natura umana, come scrive Marco Sonzogni, «raccontando a se stesso e ai suoi lettori le scelte individuali e collettive che siamo chiamati a compiere». Grazie a una straordinaria naturalezza di voce e di stile e in virtù della sua «miracolosa normalità», il poeta frequenta spazi diversi, dalla sua terra e dai suoi paesaggi alle aree metropolitane dove ha abitato, e dunque dall'Irlanda fino agli Stati Uniti; svaria «dai lutti familiari alle tragedie civili; dalle vicissitudini di storia locale ai conflitti di un mondo globalizzato»; e agisce sulla pagina nella piena consapevolezza che le vicende e le inquietudini personali possano costituire una impareggiabile testimonianza del nostro appartenere alla condizione umana. Nel libero, coinvolgente fiato di queste "Poesie", nella formidabile capacità di rendere la dimensione più umile dell'esistenza, in quella inesausta tensione tra limpida apertura vitale e impegno morale, Heaney realizza uno straordinario cammino in cui il pensiero poetico prende forma nelle concrete immagini colte nel reale e disegnate sulla pagina. Tra mito e spunti autobiografici, i suoi versi offrono presenza viva di personaggi e cose, narrando di vicende anche minime come di presagi. Immergersi nel mondo del poeta irlandese diviene per il lettore un viaggio sempre appagante e capace di nuove sensibili rivelazioni a ogni nuovo incontro, come è nella speciale virtualità espressiva dei veri classici. I traduttori delle poesie: Massimo Bacigalupo, Luca Guerneri, Gabriella Morisco, Roberto Mussapi, Anthony Oldcorn, Francesca Romana Paci, Gilberto Sacerdoti, Marco Sonzogni.