Salerno Editrice: Testi e documenti di letteratura e lingua
Cadenza d'inganno
Giovanni Raboni
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2023
pagine: 420
Cadenza d'inganno (in prima edizione ne11975) è il secondo libro di versi di Giovanni Raboni (Milano 1932-Fontanellato, Parma, 2004), la cui strenua attività di poeta e traduttore, critico militante e giornalista ne fa una delle figure di maggior rilievo del secondo Novecento italiano. Nella scrittura raboniana Cadenza d'inganno (che raccoglie poesie del periodo 1957-1974) segna una svolta, avviando un'emersione del-l'io lirico foriera di futuri sviluppi. Tra dispersione e struttura, un montaggio paradossale articola enigmatici frammenti esperienziali alla convergenza di storia individuale e collettiva. L'eros, che qui si affianca inedito al lutto per la madre, inaugura un "vero" dialogo con il tu e apre la poetica oggettuale ad una poesia di relazioni, spingendo l'io a confrontarsi dall'interno con la peste di una dimensione pubblica che incombe minacciosa sul privato. Alla strage di Piazza Fontana, alla morte di Pinelli e Feltrinelli, risponde lo sdegno etico e civile di una voce che parla dentro la storia. Nel titolo musicale, una strategia di depistaggio che fa fronte a nuove esigenze, compresa la crisi di dicibilità che revoca in dubbio la possibilità stessa della parola di leggere il reale. Di Cadenza d'inganno il volume presenta per la prima volta l'edizione critica e annotata. La nota filologica, sulla base di recenti acquisizioni, correda il testo critico di apparati variantistici e tavole di concordanza, che aprono inedite prospettive sull'usus scribendi raboniano. Il commento ai testi propone linee di lettura che si valgono di una puntuale descrizione linguistica retorica metrica, con particolare attenzione al dialogo intertestuale. L'introduzione, situando il libro nel dibattito culturale degli anni Sessanta e Settanta, ne indaga temi e coerenza testuale, struttura e strategia poetica. Completano il volume la prefazione di Giancarlo Alfano e due interviste rilasciate dall'autore, l'una alla curatrice nel 2002-2003, l'altra (inedita) a Sereni nel 1976. Prefazione di Giancarlo Alfano.
Rime
Panuccio del Bagno
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2023
pagine: 300
Uno sparuto manipolo di rime, volutamente oscure e artificiose, incentrate sulla riproposizione di topoi della lirica amorosa medievale o sulla generica trattazione di temi moraleggianti e civili, alla maniera di Guittone d’Arezzo. Così è stato sinora visto, di norma, il piccolo corpus poetico di Panuccio del Bagno († entro il 307), i cui ventidue componimenti superstiti – dodici canzoni, una stanza di canzone e nove sonetti – rappresentano nondimeno la più cospicua e significativa testimonianza della lirica pisana duecentesca. Benché all’edizione curata più di quarant’anni fa da Franca Brambilla Ageno per l’Accademia della Crusca vada sempre riconosciuto il merito di aver garantito all’opera di Panuccio una complessiva fruibilità che prima non aveva, molti sono rimasti, dal 977, i luoghi dubbi del testo e dell’interpretazione delle Rime che hanno sino ad oggi ostacolato una piena e soddisfacente comprensione del dettato poetico dell’autore. Sulla scorta dei molteplici strumenti di indagine testuale attualmente disponibili, è ora possibile constatare invece come buona parte dell’oscurità e artificiosità tradizionalmente attribuite a Panuccio del Bagno non fosse da ascriversi a un suo contrassegno stilistico, bensì agli inevitabili difetti di lettura in cui sono incorsi, specie nell’arco del Novecento, editori e commentatori. Attraverso quindi un riesame impregiudicato delle testimonianze manoscritte – quelle, sempre uniche, dei noti codici Laurenziano Redi 9 e Vaticano Latino 3793 –, l’edizione delle Rime qui presentata intende offrire una nuova base testuale filologicamente vagliata e un commento puntuale ai versi di Panuccio da cui possano prendere le mosse una migliore comprensione del suo, certo non facile, discorso poetico, una più completa valutazione dei tratti di originalità che informano il suo ristretto e non definito canzoniere, e una riconsiderazione generale del contributo dato dall’autore nel quadro della nostra lirica antica.
Rime
Gano da Colle
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2022
pagine: 200
Il volume offre ai lettori la prima edizione critica e commentata del corpus di rime di Gano di Lapo Pasci, un poeta colligiano vissuto intorno alla metà del XIV secolo, non sfuggito all’erudizione settecentesca, ma presto caduto nell’oblio. La notizia di una sua presunta corrispondenza con Francesco Petrarca, lo scambio di sonetti con il più noto Antonio Beccari e i tasselli della Commedia che impreziosiscono i suoi versi ne giustificarono il recupero e soprattutto ne favorirono l’associazione alla schiera dei poeti ammiratori ed emuli del Dante “comico”. I sette componimenti attribuiti al Colligiano (quattro canzoni morali, un capitolo ternario e due sonetti), nel riprendere e rifunzionalizzare materiali dal poema sacro, confermano senz’altro l’ipotesi dell’imitazione dantesca come una delle principali linee interpretative della poesia del Trecento. Tuttavia questo esibito dantismo ha finora lasciato in ombra altre componenti della poesia di Gano, che a uno scavo piu profondo appare attraversata da una pluralità di modelli, dalla laudistica ai satirici latini, e centrata sulla radicale opposizione tra opulenza e povertà, potere e schiavitù, edonismo e mortificazione, in definitiva sui temi che maggiormente animavano il dibattito civile e religioso della società comunale trecentesca. L’edizione, arricchita da una proposta attributiva, ovvero un lungo volgarizzamento ovidiano in forma di serventese, si avvale di un nuovo censimento dei manoscritti, di cui viene fornita una descrizione analitica e una discussione dei rapporti nella Nota al testo. Apre il volume una Introduzione dove confluiscono da un lato significative novità biografiche emerse dallo studio di fonti d’archivio talvolta inedite, utili a definire con più precisione la personalità di un autore altrimenti del tutto ignoto, e dall’altro un’analisi storico-critica complessiva della produzione di Gano, funzionale a ridefinirne il valore e il significato nel contesto della poesia trecentesca alternativa al petrarchismo. Infine ciascun testo e corredato da note di commento tese a fare luce sulla lingua, lo stile e la cultura dell’autore.
Capitoli burleschi
Benedetto Varchi
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2022
pagine: 240
Composti negli anni Trenta del Cinquecento, verosimilmente ante 1537, i sei capitoli burleschi di Benedetto Varchi (1503-1565) costituiscono un oggetto testuale di grande rilevanza: tutti appartenenti al genere dell’elogio paradossale (col suo pendant, il biasimo paradossale) e quasi tutti dedicati alla lode di cibi, questi ternari documentano insieme la produzione giovanile del letterato fiorentino e la primissima diffusione della “maniera” comica inaugurata da Francesco Berni al di fuori della cerchia romana dei suoi primi cultori, i cosiddetti “Vignaiuoli”. Unitamente alla straordinaria ricchezza lessicale e paremiografica e alla notevole creatività sintattica, i capitoli burleschi di Varchi si segnalano per la densitaàdei contenuti poetologici e ideologici, che arrivano ad abbracciare il pensiero religioso di Erasmo, fornendo cosi una nuova, interessante testimonianza della sua prima ricezione in Italia. La presente edizione offre per la prima volta un testo dei capitoli criticamente fondato, sulla base della ricognizione dell’intera tradizione manoscritta e a stampa, illustrata e discussa nel dettaglio nella Nota ai testi. In apertura del volume, l’Introduzione si incarica di precisare, incrociando dati ricavabili dai testi e informazioni provenienti dall’epistolario varchiano, la datazione dei capitoli, mettendone cosi in luce la precocità rispetto alla (pressoché coeva) esperienza romana; e di ricollocarli nel quadro della variegata produzione poetica dell’autore. Al commento e demandato invece il compito di illustrare non solo l’intertestualità propriamente bernesca dei capitoli, che risultano partecipare appieno della dimensione “corale” di questa poesia, ma anche lo stretto rapporto che essi intrattengono con la tradizione comica fiorentina quattro e primo-cinquecentesca, a cominciare da Burchiello e Luigi Pulci.
El libro delle cento parole di Ptholommeo. Volgarizzamento inedito del Centiloquium pseudo-tolemaico
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2021
pagine: 176
Il Centiloquio pseudo-tolemaico è una raccolta di cento aforismi attribuita al grande scienziato e matematico alessandrino Claudio Tolomeo (II sec. d. C.). Nel corso dei secoli questa compilazione apocrifa ha conosciuto una fortuna straordinaria (se ne conoscono versioni in greco, in latino, in arabo e in persiano) divenendo uno dei classici della letteratura astrologica occidentale. Le ragioni di un simile successo non sono difficili da spiegare in quanto ‒ accanto ad alcuni fondamentali princìpi dell'astrologia tolemaica ‒ questa singolare operetta tramanda un gran numero di dottrine attinte all'astrologia araba e persiana (come quelle delle interrogazioni, delle elezioni e delle cosiddette 'grandi congiunzioni'); si aggiunga, inoltre, il fascino esercitato sui lettori occidentali dagli aforismi dedicati alla confezione dei talismani, o quelli concernenti le inclinazioni caratteriali (e sessuali) degli individui. Questo volume offre la prima edizione critica dell'inedito volgarizzamento del Centiloquio contenuto nel manoscritto Palatino 641 della Biblioteca Nazionale di Firenze. L'Introduzione ripercorre la storia del Centiloquio e la sua trasmissione attraverso la tradizione greca, araba, mediolatina e bizantina, per poi illustrare la grande fortuna che l'operetta ha avuto nell'Umanesimo e nel Rinascimento italiano. Seguono l'edizione del testo, il commento e tre appendici che raccolgono un inedito corpus di annotazioni al testo. Chiudono il volume un glossario dei termini tecnici.
Stanze
Pietro Bembo
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2020
pagine: 160
«Pietro Bembo (1470-1547), cardinale e uomo di lettere di assoluta preminenza nel Rinascimento europeo, è presente nella memoria collettiva soprattutto per la sua opera di grammatico — basti pensare alla funzione fondamentale svolta dalle Prose (1525) — e per il suo ruolo di fondatore del classicismo lirico, anche se non disdegnò di esercitarsi in molti generi, non solo di registro alto. Tra i suoi scritti "minori", particolare rilievo assumono le Stanze: composte nel 1507, in occasione del Carnevale urbinate, sono un poemetto in 50 ottave incentrato sull'invito primaverile all'amore, rivolto alla duchessa Elisabetta Gonzaga e alla nobildonna Emilia Pio. Questo testo, oggi quasi dimenticato, godette ai suoi tempi di una straordinaria fortuna e rappresentò un punto nodale nella storia della letteratura rinascimentale e dell'ottava rima: insieme alla canzone Alma cortese e dopo gli Asolani (1505), le Stanze indicarono infatti la via per la nascita del petrarchismo cinquecentesco. Al poemetto Bembo dedicò assidue cure e continuò a ritoccarlo attraverso un paziente lavoro di lima che durò almeno fino al 1545: segno dell'importanza, al di là dell'occasione che lo generò, ad esso riconosciuta dal suo illustre autore. Trasferendo la lezione linguistica e formale di Petrarca in un altro genere, di livello umile, e appoggiandosi alla propria vasta cultura umanistica, Bembo diede l'esempio di una poesia moderna profondamente classica e insieme adatta ai gusti di un pubblico largo. Il volume offre un nuovo commento e un'ampia introduzione al testo che permettono al lettore di apprezzare il senso dell'operazione di Bembo sia sul versante serio dell'innovazione letteraria sia sul fronte giocoso dell'occasione carnevalesca da cui esso nacque, due aspetti fondamentali della cultura rinascimentale non sempre adeguatamente valutati. Il commento, oltre a chiarire puntualmente il significato del testo, si concentra sugli aspetti linguistici, variantistici e intertestuali al fine di restituire un'immagine completa del progetto letterario sotteso alle Stanze, illustrandone il rapporto non solo con Petrarca ma anche con i classici latini e con la tradizione in ottave e quattrocentesca (Boccaccio, Boiardo, Lorenzo e Poliziano).» (Amelia Juri)
Rime
Jacopo Cecchi
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2020
pagine: 180
L'identità e la produzione del notaio e rimatore fiorentino ser Jacopo Cecchi sono state per oltre quattro secoli indissolubilmente legate al nome di Dante Alighieri: consacrata sotto la paternità dantesca dalla stampa della 'Giuntina di rime antiche' del 1527, la fortunatissima canzone Morte, perch'io non trovo a cui mi doglia è rimasta legata al nome dell'Alighieri fino alla fine dell'Ottocento, in virtù di una lettura da parte della critica che la voleva tessera estravagante della Vita nuova, necessaria a "completare" un capitolo del libello — quello sulla infermità, morte e assunzione in cielo di Beatrice — avvertito come carente. Copisti ed editori di Dante hanno dunque inteso la canzone quale accorato planctus del sommo poeta cagionato dalla mortale malattia di Beatrice, al punto di oscurare l'identità del meno celebre rimatore fiorentino, riportato all'attenzione degli studi solo sul finire dell'Ottocento, allorché ha cominciato a delinearsi la fisionomia di un poeta minore, mediocre autore di rime amorose, ma abile imitatore di Dante e del Petrarca. Attivo nelle istituzioni fiorentine dal 1315-'26 al 1369, Jacopo Cecchi svolse l'incarico di ambasciatore per il Comune di Firenze e ricoprì l'ufficio di notaio della Signoria per il quartiere San Giovanni. Nel volume viene puntualmente ricostruita, grazie a nuove ricerche d'archivio, la sua identità storica, introduttiva all'edizione critica commentata del piccolo corpus rimico, che annovera, oltre alla canzone alla Morte, la canzone Lasso, ch'i' sono al mezzo della valle e il capitolo ternario O sconsolate a pianger l'aspra vita, ora per la prima volta proposto a stampa. Seguono in Appendice la canzone O Morte, che la vita schianti e snerbi (forse del Cecchi, se lo Jacobus de Florentia cui la assegna il ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, n.a. 1745, coincide con il rimatore fiorentino) e l'anonimo rifacimento tardo quattrocentesco o cinquecentesco, Morte, da che convien pur ch'io mi doglia, testimone dell'ampia fortuna arrisa alla canzone Morte, perch'io non trovo. Ogni componimento, opportunamente inquadrato all'interno del panorama poetico coevo, è corredato di apparato giustificativo che consente di verificare le scelte testuali diffusamente discusse anche nella Nota ai testi; mentre il commento è a servizio della comprensione del testo e indica i riferimenti letterari che si sono reputati più probabili e certi.
Rime
Lapo Gianni
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2019
pagine: 216
Inserito da Dante nell'élite stilnovista in un cruciale passo del 'De vulgari eloquentia' (I XIII 4), Ser Lapo Gianni, notaio fiorentino, rimane a oggi una figura controversa e sfuggente, al punto che negli ultimi decenni ne è stato messo in dubbio persino il nome e quindi l'appartenenza al canone dello Stilnovo. La critica ha infatti da sempre espresso opinioni discordanti sulla collocazione di Lapo nella storiografia letteraria e sul valore stesso della sua poesia: c'è chi ha riconosciuto in lui un attardato epigono cortese, poi attratto nell'orbita cavalcantiana, tanto da esercitare, a sua volta, un'influenza su un più giovane Dante; chi ha insistito sull'idea di una certa vicinanza e collaborazione di 'scuola' con i più celebri amici; chi, infine, lo ha ritenuto un più o meno tardo imitatore della maniera cavalcantiana e dantesca. Il presente volume propone una nuova edizione critica commentata delle rime sicuramente attribuibili a Lapo Gianni, per le quali il testo di riferimento è stato fino a oggi, nonostante la revisione proposta da Iovine (1989), ancora quello fissato da Contini nei 'Poeti del Duecento' (1960). Il nuovo testo critico è corredato, per ogni componimento, dalla necessaria documentazione filologica, in modo che i lettori possano, per la prima volta nel caso di Lapo, verificare puntualmente le scelte sostanziali e linguistiche, nonché la condotta dei diversi testimoni. Il commento, oltre a rendere le liriche del tutto accessibili e a fornirne un'interpretazione puntuale, si propone di ricostruire la cultura linguistica e letteraria dell'autore, sforzandosi soprattutto di chiarire i suoi rapporti con la poesia cavalcantiana e dantesca, al fine di definire il suo ruolo all'interno della più alta esperienza stilnovista.
Incantamenta latina et romanica. Scongiuri e formule magiche dei secoli V-XV
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2019
pagine: 291
Che cos'hanno in comune le filastrocche infantili e la pubblicità? Che cos'è un incantesimo e come si tramandano le credenze popolari sulla magia? In questo libro scopriremo le radici del fascino eterno degli "incantamenta" che nessun progresso scientifico riesce a scalfire. Un alto funzionario della Gallia tardo-imperiale, monaci amanuensi, giovani chierici della cattedrale di Verona, medici anglonormanni, guaritrici catalane, un orafo fiorentino, un curato della campagna padovana: sono alcuni dei protagonisti di questo libro. Gli scritti di cui l'autore ci parla invece si riferiscono a iscrizioni su ardesia sepolta nei campi di Asturia, formule scribacchiate sui margini di manoscritti patristici, un pezzo di pergamena che la partoriente deve recare indosso, verbali di processi. Si tratta di incantesimi o scongiuri, di solito dotati di una elementare struttura poetica, volti a produrre un bene o più spesso ad allontanare un male: una malattia, ma anche il morso del serpente, il lupo, la tempesta. L'introduzione del libro tratta il problema della forma scongiuro, ne studia l'evoluzione nell'arco di un millennio (V-XV sec.), si occupa delle varietà e dei registri di lingua impiegati, delle caratteristiche metriche e stilistiche dei testi, della loro trasmissione scritta, orale o mista. Seguono circa cinquanta testi (latini, italiani, francesi, occitani, catalani) in ordine cronologico, con note filologiche e linguistiche, traduzione e commento. Chiudono il volume Indici di manoscritti, varietà linguistiche, tipi funzionali, voci notevoli.
Le mattane
Niccolò Povero
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2018
pagine: 128
Il nome di Niccolò Povero compare in una curiosa silloge quattrocentesca, che riporta, insieme ad altri testi giullareschi e canterini, due lunghi capitoli in terza rima denominati mattane (voce di area toscana che significa ‘stramberie’, ‘assurdità’). Non si hanno notizie certe sull’identità dell’autore, ma i due componimenti sono una testimonianza importante nella tradizione della poesia comica fiorentina della seconda metà del XIV secolo. Le mattane infatti esibiscono una struttura compositiva improntata allo stile e alla retorica del nonsense, che ne fa un tassello imprescindibile nel mosaico culturale che più tardi darà origine alla poesia del Burchiello. La prima mattana presenta una raccolta di immagini bizzarre e visioni fantastiche contenute in una piccola cesta da frutta; la seconda si risolve in un elenco di ricette paradossali esposte da un medico ciarlatano apparso in sogno al poeta. Entro queste scarne cornici, si dipana la strumentazione tipica della tecnica burchiellesca: il ricorso oltranzistico a un lessico idiomatico o gergale, il gusto per l’accumulazione seriale, l’associazione di referti di realtà svincolati dal senso comune e tesi a illustrare una realtà “altra”, parallela, del tutto fantasiosa. Il volume, avvalendosi del recupero di nuove testimonianze manoscritte e a stampa, offre per la prima volta un’edizione critica e annotata dei due componimenti; il puntuale commento linguistico ne chiarisce la lettera, spesso di difficile interpretazione, e individua i piú rilevanti rapporti che essi intrattengono sia con la poesia burchiellesca, sia con la tradizione comica e giullaresca due-trecentesca. L’edizione è corredata da un’ampia introduzione, tesa a illustrare le principali strategie retoriche e stilistiche e a ricostruire la tradizione e la fortuna di questa particolare tipologia testuale; e da una nota filologica, in cui sono indagati i rapporti genealogici tra tutti i testimoni, alla base della costituzione dei testi.
Caccia di Diana
Giovanni Boccaccio
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2016
pagine: 292
"La Caccia di Diana" è con ogni probabilità la prima opera in versi di Giovanni Boccaccio. Se il titolo ne denuncia l'ambientazione mitologica e la materia venatoria, questo poemetto in terzine, composto in lode delle dame appartenenti alle maggiori famiglie della corte di Roberto d'Angiò, è attraversato anche da una forte componente amorosa: tra le nobildonne napoletane invitate da Diana in persona a prendere parte a una battuta di caccia c'è anche una fanciulla senza nome, la «bella donna il cui nome si tace», amata dal poeta e a lui destinata; sarà lei a guidare la ribellione quando, conclusa la caccia, le dame insorgeranno contro la fredda Diana decise a diventare fedeli di Venere. Una metamorfosi prodigiosa sancirà il trionfo della dea dell'amore: le prede catturate diventano prima uomini e poi amanti. Anche il poeta partecipa al miracolo, trasformandosi da bestia ad amante cortese. Le diverse tradizioni che Boccaccio fonde nella Caccia sono illustrate nell'introduzione del volume, nella quale si affrontano le principali questioni poste dal poemetto: oltre a ripercorrerne la storia dell'attribuzione e il problema relativo alla sua cronologia, se ne indaga la struttura metrica (l' opera ha un posto di qualche rilievo nella fortuna della terza rima) e la ricchezza del lessico. Il volume pubblica il testo critico della Caccia, fondato sul riesame dell'intera tradizione manoscritta, accompagnato da un commento che mira a valorizzare i rapporti con la tradizione precedente, a partire dal modello narrativo di Dante, puntando anche a far emergere la componente popolare e giullaresca rimasta finora più in ombra rispetto alla dimensione galante. La nuova edizione offre un testo rinnovato ed è corredata di una nota al testo che dà conto delle scelte editoriali legate alla sostanza e alla lingua del poernetto. Destinata a svolgere un ruolo importante nel Quattrocento, la Caccia è di fatto un prodotto letterario nuovo, che ai lettori moderni consente anche di osservare in nuce molti dei temi che saranno poi centrali delle opere più mature di Boccaccio.
Sermone del cane e del cavallo
Battista Guarino
Libro: Libro in brossura
editore: Salerno Editrice
anno edizione: 2016
pagine: 168
Battista Guarino (1434-1503), figlio del celebre umanista Guarino Veronese, è conosciuto quasi esclusivamente per la sua attività erudita di insegnante e traduttore, e non è un caso che la sua opera più famosa - il De ordine docendi ac studendi - sia un manuale di didattica. Un codice manoscritto allestito agli inizi del Cinquecento, attualmente conservato presso una collezione privata, trasmette un testo databile tra il 1464 e il 1471 della cui esistenza si era fino a oggi persa ogni traccia, la cui riscoperta permette di scorgere il lato più ludico e leggero dell'austero Battista. Questi mette in scena un dialogo fittizio che lo vede protagonista, assieme al cortigiano Teofilo Calcagnini, di un brillante ragionamento sulle caratteristiche, le virtù e i metodi di allevamento di cani e cavalli. Nonostante l'esistenza di molteplici opere - greche, latine, arabe, romanze - dedicate alla cura di tali animali, l'autore mostra di saper sviluppare l'argomento in modo originale: infatti, lungi dall'inserirsi in un genere letterario predefinito, il Sermone si situa al crocevia fra un testo enciclopedico, un trattato di caccia e un manuale di veterinaria. Fonti letterarie e tecniche, fonti classiche e contemporanee si trovano sapientemente mescidate a formare un'opera organica, rispettosa della tradizione ma al tempo stesso profondamente innovativa: un'opera in cui convivono storie di un passato ormai remoto, storie mitologiche e storie della realtà quotidiana della corte d'Este. Presentazione di Baudoin Van Den Abeele.