In una lettera a James Reeves del maggio 1949 Graves è chiaro sul senso di "Sette giorni fra mille anni": "Riguarda il problema del male: quanto male è necessario per una buona vita". Nel mondo di Nuova Creta, che capitolo dopo capitolo diventa per Graves sempre meno accettabile, "il problema è che c'è sempre una nostalgia del male", come scrive, in un'altra lettera, quand'è a un terzo della stesura. Se l'utopia scientifica è il bersaglio di Huxley nel "Mondo nuovo" e quella comunista è l'obiettivo di Orwell in "1984", forse non c'è un bersaglio di questa distopia che non sia proprio l'utopia. Il vero male sta nell'immaginare che i problemi si risolvano. Solo il passato elargisce futuro. Solo il dolore crea amore e solo la sventura regala saggezza. Senza il male non c'è poesia. Lo scrittore è un seme di dolore, che dona al lettore un raccolto di dolore, facendogli coltivare così saggezza e amore. Postfazione di Silvia Ronchey.
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Sette giorni fra mille anni
| Titolo | Sette giorni fra mille anni |
| Autore | Robert Graves |
| Traduttore | Silvia Bre |
| Argomento | Narrativa Narrativa moderna e contemporanea (dopo il 1945) |
| Collana | Narrativa |
| Editore | Nottetempo |
| Formato |
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| Pagine | 352 |
| Pubblicazione | 03/2015 |
| ISBN | 9788874525379 |
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