ABE
La canzone napoletana importata da Lipsia: le audizioni e le incisioni della Polyphon in Germania (1911-1915)
Antonio Sciotti
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 190
La Canzone Napoletana diventa un prodotto tedesco... Massimo Weber, rappresentante della Polyphon Musikwerke a Napoli, ama la canzone napoletana e nel 1910 decide di fondare una grande casa editrice musicale che coinvolga i migliori poeti e musicisti di Napoli per creare una produzione musicale di rilievo nazionale e internazionale. Weber non si occupa solo di musica, ma rappresenta anche vari altri prodotti tedeschi. Dopo essersi dedicato allo sviluppo di un piano artistico e commerciale, il progetto viene approvato in meno di tre mesi. Per avere successo, Weber chiede aiuto a Emilio Gennarelli, esperto nella vendita di prodotti musicali. In incontri storici alla birreria Gambrinus e all'hotel Bertolini, Weber e Gennarelli riescono a ingaggiare i migliori autori e musicisti del tempo, tra cui Ferdinando Russo, che diventa direttore artistico. Le proposte economiche per gli artisti sono senza precedenti, con stipendi tra 125 e 500 lire mensili, somme molto alte per l'epoca. Con gli accordi stabiliti, nel 1911 nasce ufficialmente la casa editrice musicale Polyphon Musikwerke, che viene annunciata al pubblico con una conferenza stampa. L'accordo suscita polemiche ed è pubblicato sul quotidiano Il Giornale d'Italia. La canzone napoletana viene descritta come un importante prodotto di esportazione, ora monopolizzato dalla Polyphon di Lipsia. Il progetto si sviluppa attraverso vari capitoli, che includono audizioni musicali dal 1911 al 1914, e termina con la fine della Polyphon e il rinnovamento della canzone napoletana. Introduzione Nel 1910, Massimo Weber, rappresentante di Polyphon Musikwerke a Napoli, decide di avviare una casa editrice musicale dedicata alla canzone napoletana, cercando il talento dei migliori poeti e musicisti della regione. Punti chiave • Weber, oltre a rappresentare Polyphon, collabora con altre aziende tedesche produttive. • Sviluppa un progetto artistico e commerciale, che viene approvato in meno di tre mesi dalla direzione a Lipsia. • Chiede aiuto a Emilio Gennarelli, esperto nella vendita di prodotti musicali, creando un partnership chiave per il successo della nuova casa editrice. • I due organizzano incontri a Napoli e Roma per ingaggiare autori e musicisti, incluso Ferdinando Russo come direttore artistico. • Attraverso offerte economiche attraenti, Weber riesce a contrattare 32 tra poeti e musicisti, con stipendi significativi per l'epoca. • La nuova casa editrice, Polyphon Musikwerke, viene presentata al pubblico il 21 febbraio 1911, sollevando anche polemiche. • Il quotidiano Il Giornale d'Italia annuncia l'accordo, sottolineando il monopolio di Weber sulla canzone napoletana. Conclusione La creazione della Polyphon rappresenta un momento cruciale per la canzone napoletana, trasformandola in un prodotto con respiro internazionale e proprio di una crisi di valori culturali e commerciali, che si evidenzia tra il 1911 e il 1915.
I Festival degli anni '50 in televisione (1947-1959)
Antonio Sciotti
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 380
Dopo il periodo d'oro della canzone napoletana che, a partire dalla fine dell'Ottocento e fino alla prima metà degli anni '30 del Novecento, ha seminato successi europei e internazionali, inizia una crisi della musica partenopea che si manifesta dalla seconda metà degli anni '30 e fino alla fine degli anni '40. La diffusione delle ballate e del sound proveniente da paesi oltre oceano e anche da paesi europei, mettono in grave difficoltà la canzone napoletana (e anche quella italiana) divenuta un fenomeno artistico stantio, scartato dalle nuove generazioni che seguono le nuove tendenze. Rispetto ai grandi successi del passato, in questo periodo soltanto alcune canzoni partenopee riescono a superare le difficoltà, imponendosi sul mercato del disco, come 'Na sera 'e maggio, Che t'aggia ddì, 'O mese d''e rrose, Tammurriata nera, Simmo 'e Napule paisà, Munasterio 'e Santa Chiara, più qualche macchietta (Agata, Ciccio Formaggio, L'hai voluto te, I due gemelli, Dove sta Zazà). Troppo poco rispetto ai periodi precedenti. Fortunatamente la crisi sfuma grazie all'esplosione del fenomeno della commercializzazione (o rinnovamento) e la canzone napoletana torna al suo iniziale splendore. Per debellare la crisi, era necessario un cambiamento radicale e pure una schiera di nuovi autori (e di autori adattati) e di nuovi artisti (e di artisti adattati), da contrapporre agli autori e ai cantanti conservatori. Questi riescono nell'intento di creare un nuovo interesse verso la musica partenopea che addirittura oltrepassa i confini nazionali, affermandosi nel mondo con brani che, ancora oggi, sono eseguiti da artisti di grande popolarità. Come per il periodo dell'industrializzazione della canzone napoletana che viene identificato con il leggendario motivo Funiculì funiculà del 1880, anche il rinnovamento della musica partenopea degli anni '50 è identificabile con una canzone che funge da apripista, ovvero Anema e core, considerata la prima melodia del nuovo "filone confidenziale" della canzone napoletana che rilancia la musica partenopea in Italia e nel mondo. L'artefice di questa nuova scrittura è il poeta Tito Manlio che, immediatamente al dopoguerra, sviluppa l'idea che la canzone napoletana, pur rimanendo fedele agli schemi tradizionali di Ernesto Murolo, E. A. Mario o di Libero Bovio, deve adattarsi ai tempi moderni; deve, cioè, parlare l'antico linguaggio ma con uno stile nuovo. Anema e core viene presentata, per la prima volta, al Festival di Capri del 1950, manifestazione organizzata dalla casa editrice Leonardi, e si aggiudica il primo posto nell'esecuzione di Roberto Murolo. Ma il successo non arriva con il noto menestrello napoletano, bensì grazie al tenore Tito Schipa che la inserisce nel suo repertorio e la rende famosa a livello internazionale. Nell'autunno del 1950, Tito Schipa incide Anema e core su disco La Voce del Padrone. Ma fa anche di più. Il popolare tenore, in dodici incisioni su sei 78 giri, raggruppa quanto di più bello è stato presentato al Festival di Capri nelle prime due edizioni del 1949 e 1950, imponendo quasi tutti i brani e rilanciando pure un'altra composizione di stile moderno che farà la storia: Me so 'mbriacato 'e sole di Tito Manlio e Salve D'Esposito (vincitrice dell'edizione festivaliera del 1949). La leggenda racconta che il testo di Anema e core sia stato scritto da Manlio su ispirazione di un furioso litigio con la moglie e da una successiva pace avvenuta con baci e abbracci e con il trionfo dell'amore. Il successo della canzone è arcinoto; lo slow con ritmo sincopato viene tradotto in moltissime lingue ed è inciso da importanti cantanti, quali Frankie Avalon, Cliff Richard, Grace Jones, Eddie Fisher, Beniamino Gigli, Perry Como, Connie Francis, Amalia Rodriguez e tanti altri.
Taurasi e l'antica Taurasia: il castello perduto da Ruggiero di Avellino, demanio dei Balbano per i migranti Bebiani
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 150
È questo non solo un testo di storia antica sui discendenti di Taurasia in Sannio, la città del 280 a.C, confusa con Torino, dove furono portate le colonie dei Liguri Bebiani, e poi fuggiti risalendo il fiume Calore nell'attuale Irpinia. Ma esso analizza e studia i 3 agri del Sannio antico di Circello con la prima Taurasia nell'agro dei Campi ardenti: Apuani a Taurasia (Campi Flegrei), Bebiani (Tammarense) e Corneliani (Alifano). Queste le colonie dei Liguri da cui presero vita i futuri fondatori di Taurasi. Bascetta analizza tutti i documenti altomedievale di Montevergine, Cava e San Vincenzo al Volturno che parlano di tutte e tre le diverse fondazioni di Taurasi, tracciando un profilo esaustivo sugli spostamenti nel corso dei secoli, specie dopo la distruzione operata dai Saraceni. Ma questa è anche l'occasione per approfondire i documenti sul Monastero della Beata Santa Maria in Loco Sano, la Basilica di San Felice in M.Mariano del 750 d.C., e quella di S.Felice Magno in Loco Sano sul fiume Calore, presso Quintodecimo e S.Agata distrutte dai Saraceni, i quali, per un secolo, poi arriva Ottone II e la fuga dalla Valle di Sora e Cominio all'Alto Calore nel 981 a rifondare Cassano e Luogosano, confuse con le originarie Lo Cossano, cioè Lo(cu) Cusano (Mutri) Il libro si conclude con un interessante spaccato storico-economico e antropologico di Taurasi e dei suoi abitanti tra la fine dell'Ottocento e la metà del Novecento. Ecco una sintesi e analisi dei punti principali, suddivisi per temi: 1. Economia Locale e Trasformazione Sociale Alla fine dell'800, piccole imprese familiari e negozianti locali rappresentano il motore dell'economia di Taurasi. Si tratta di un passaggio cruciale: gli ex servi della terra si trasformano in artigiani e commercianti. Alcuni esempi: Gioacchino Angelis, Marciano Caputo, Scipione Caggiano: negozianti di vino e cereali. Roberto Degli Uberti, Lodovico Maffei: commercianti di prodotti dei propri fondi agricoli. Alfonso Rocci: commerciante di grano, cuoio e vino. Pasquale Tranfaglia: venditore di farmaci. Ciò indica una microeconomia contadina e commerciale, basata su filiere corte, prodotti agricoli e trasformazione alimentare. 2. Infrastrutture carenti e centralizzazione dei servizi Il caffettiere, gli orefici e altri commercianti non si trovavano a Taurasi, ma in paesi vicini come Fontanarosa e Mirabella Eclano. Servizi pubblici come Carabinieri, Uffici del Registro, Posta e Diocesi erano distribuiti tra più comuni (Mirabella, Grottaminarda, Avellino), mostrando una forte dipendenza esterna per le necessità amministrative. 3. Sistema di Misurazione Locale L'autonomia e la frammentazione dei sistemi di misura mostrano le difficoltà di un'economia non ancora unificata: A Taurasi, il moggio era di 900 passi quadrati, mentre a Savignano era 960. Il barile di vino era diverso da paese a paese: a Taurasi era 30 caraffe (≈ 0,2679 hl), a Casalbore era 40 pinte (≈ 0,3571 hl). Per l'olio, si usava il cantaro = 89,1 kg. Questa varietà rendeva difficile il commercio tra paesi e facilitava possibili truffe o errori, specie per i meno istruiti. 4. Continuità e successo imprenditoriale Nonostante difficoltà economiche, tasse e balzelli, alcune ditte familiari resistono e prosperano: Benigno Caggiano & Fratelli, Pasquale Tranfaglia → olio d'oliva (nel catalogo esportatori 1922). Antonio Caggiano → vino e alcool (dal 1931). Con il dopoguerra, Taurasi entra nel commercio vinicolo internazionale, segnando l'inizio di una nuova fase di sviluppo economico. 5. Taurasi nel secondo dopoguerra 1956: 3322 abitanti. Reti di trasporto: ferrovia Avellino-Rocchetta Sant'Antonio, linee automobilistiche locali. Fiere e mercati: settimanale il sabato, fiera importante il 16-17 maggio. Attività turistiche emergenti: agriturismi e ospitalità rurale (famiglia Pasquariello, signora Fraola). 6. Vocazione agricola e paesaggio Taurasi è descritto come: Un centro agricolo della media Valle del Calore.
Faber. Dietro i testi di Fabrizio De André
Mario Martino
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 100
Passare da un blog a un libro in carta e inchiostro è stato un lavoro davvero impegnativo per ovvi motivi di stile, organizzazione e ricerca. Tuttavia, la volontà di imprimere indelebilmente la nostra idea su carta, ha soppiantato la paura di sbagliare, la preoccupazione di fallire, la vergogna di esporsi. Oggi siamo convinti che lavorare giorno e notte alla ricerca delle fonti, alla rifinitura dei contenuti, alla pulizia del prodotto, sia stata davvero la scelta migliore oltre che una meravigliosa avventura. Esplorare la realtà, la società, la storia, la letteratura e la filosofia, utilizzando come filo rosso le canzoni, è stata un'esperienza che ci ha ripagato di tutti i sacrifici fatti. Nel lavoro preliminare alla stesura del volume, ci è sembrato davvero di viaggiare insieme a tutti quei personaggi, quelle melodie, quelle frasi, quelle emozioni che Faber ha saputo regalare alla storia della musica italiana. L'avventura di una rubrica online del sabato mattina è durata circa sei mesi; a un certo punto ci siamo accorti che un blog non era il posto giusto per un lavoro del genere. Da qui, inizialmente, l'idea di chiudere i battenti, perché non tutto dura per sempre, perché era giusto così. Poi, qualcuno, per evitare che tutto il lavoro si smarrisse nella marea di scritti digitali, ci ha suggerito di revisionare i lavori già scritti, arricchirli e adattarli a un volume. Ecco come è nato questo libro: dal bocciolo di un blog irrigato con dedizione, un fiore sbocciato tra paure e difficoltà. Nell'adattamento a una versione cartacea, per evitare di scadere nella superficialità, nell'incompletezza e nell'imperfezione, ci è sembrato inevitabile fare un lavoro più che certosino di rifinitura, pulizia e ricerca. Durante questo processo abbiamo deciso di raggruppare i brani analizzati in categorie. In effetti, è molto difficile far rientrare i testi di De André in una determinata categoria poiché spesso le canzoni di Faber riescono a coinvolgere una pluralità di tematiche nel giro di qualche verso. La seconda parte, La protesta, racchiude quei brani che, a nostro avviso, rappresentano una reazione (violenta come quella del Bombarolo o psicologica come quella del soldato Piero) ai luoghi comuni, ai miti e alle ingiustizie: ora la politica, ora la religione. Si trovano, perciò, in questa seconda parte quelle canzoni in cui Faber invita ad assumere un punto di vista diverso da quello predominante. Dopo la protesta, abbiamo inserito una sezione dedicata al tema amoroso, perché anche di questo De André ha saputo parlare e cantare bene. Le canzoni inserite nella categoria L'amore ci raccontano storie immaginate, relazioni pericolose, gelosie, passione e dolore spesso uniti a fatti e vicende storiche. Infine, spazio alle canzoni dedicate agli emarginati, coloro che comunemente vengono definiti Gli Ultimi. Nei loro confronti il cantautore è stato sempre solidale e comprensivo. De André ha cercato di indossare gli occhiali dei meno fortunati provando a guardare il mondo dal loro medesimo punto di vista. Era più che doveroso, dunque, dedicare una sezione a tutti quelli che non hanno avuto forza, modo o spazio di cantare la propria sfortuna da soli. In conclusione una precisazione è doverosa: il volume non pretende di essere un'antologia, ma il tentativo di raccontarvi come noi abbiamo interiorizzato la morale deandreiana. Per dirla come Faber, noi non abbiamo "[…] nessuna verità in cui credere, […] nessuna certezza in tasca" e "va già molto bene" se riusciremo a "regalarvi qualche emozione". Considerate, perciò, questo volume non un punto di arrivo ma un punto di partenza, un diario.
Storia internazionale della canzone italiana: Giuseppe Cioffi e le audizioni di Piedigrotta (1940–1960): raccolta di testimonianze e documenti di prima mano
Antonio Sciotti
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 356
Il libro racconta nei dettagli la storia di tutte le edizioni delle Audizioni di Piedigrotta organizzate dalla casa editrice Cioffi a partire dal 1940, anno in cui il popolare musicista inaugurò l'edizione musicale, e diventa rappresentativo di tutte le audizioni (a partire da quella organizzata dalla casa editrice Santojanni nel 1900) che hanno seguito lo stesso schema organizzativo. Giuseppe Cioffi (Napoli, 3 novembre 1901 - 20 maggio 1976) fu meritatamente noto come uno dei migliori musicisti di Piedigrotta, e non poche le canzoni conosciute in tutto il mondo furono da lui firmate. Egli riuscì nell'intento di infondere nuovo sangue al corpo un po' senescente e anemico della canzone napoletana, soprattutto a partire dagli anni '40 del Novecento, quando la melodia era dirottata sul viale del tramonto. Così, l'ultima e vera canzone di Napoli, figlia dell'epoca d'oro, è stata sicuramente quella di Giuseppe Cioffi: una canzone abile, perfetta di costruzione, congegnata con sicuro senso drammatico, o gaio, sentimentale, comico, grottesco, della quale egli solo intuì la formula giusta, precisa, infallibile. Probabilmente Giuseppe Cioffi è stato l'unico compositore che fino alla fine dei suoi giorni è riuscito a musicare canzoni di successo, senza subire declini, grazie alla sua vena creativa che mai si esaurì col tempo. Furono venti le Audizioni di Piedigrotta Cioffi tenute dal 1940 al 1959. Ogni edizione ospitò artisti di fama, quali Nilla Pizzi, Luciano Virgili, Nunzio Gallo, Gino Latilla, Carla Boni, Nino Taranto, Carlo Buti, Franco Ricci, Maria Paris, Sergio Bruni, Beniamino Maggio, Vittorio Parisi, Salvatore Papaccio e altri. Tutte le kermesse furono inquadrate in colorite ed esplosive riviste e, per questo motivo, arricchirono il cast dell'Audizione di Piedigrotta attori di cinema e di teatro, fantasisti, chansonnier e ballerini di grande popolarità, quali Erma Chigi, Lola Montenegro, Dolores Palumbo, Mita Ferroli, Ettore Carloni, Salvatore Cafiero, Enzo Turco, Nyta Jessoli, Rino Marcelli, Mario Zigavo, Franco Sportelli, Gennarino Palumbo e altri. In venti edizioni, furono oltre 350 le canzoni presentate da Giuseppe Cioffi e molte di queste, oltre al successo dell'epoca, sono oggi delle meravigliose evergreen (Scalinatella, BBona furtuna, Giuvanne cu' a chitarra, Tutt''e ssere, Dove sta Zazà, 'A luciana, 'A rossa, Aummo… aummo…., Carcerato, Pusilleco 'nsentimento, Nennella, Fatte fa 'a foto), ancora cantate negli spettacoli teatrali e televisivi dedicati al revival. L'opera in edizione pregiata con decine e decine di foto d'epoca a colori è divisa in due parti. Nella prima parte sono illustrate, dal 1940 al 1959, le cronistorie di tutte le venti edizioni delle audizioni di Piedigrotta Cioffi, con le relative tabelle discografiche in allegato. Nella seconda parte, intitolata Istantanee, sono riportate le schede biografiche di 80 cantanti che hanno preso parte alla rassegna piedigrottesca. Nonostante si parli di quasi tre quarti di secolo fa, è interessante scoprire che ci sono ancora artisti in vita a tutto il 2025. Il libro segue la scia canzoniera delle pubblicazione dei volumi Storia della Piedigrottissima e Storia del Festival di Piedigrotta, e vuole evidenziare che tutte le manifestazioni musicali napoletane in Italia (Festival, Audizioni, Concorsi, Mattinate) non hanno mai avuto nessun legame diretto con la Festa di Piedigrotta, se non per qualche caso eccezionale, come quello del 1895 quando la municipalità istituì il Piedigrotta-Festival proprio nell'ambito della popolare festa partenopea. Infatti, le più importanti e internazionali canzoni napoletane ('O sole mio, I' te vurria vasà, Santa Lucia luntana, Reginella, Torna a Surriento, 'A tazza 'e cafè, Voce 'e notte, Tu ca nun chiagne, ecc.) hanno avuto, per il loro lancio, un contesto teatrale ben preciso e non, come si vuole commentare, il carro allegorico di Piedigrotta.
Diari di Napoli, il manoscritto di Zazzera e gli omissis inediti svelati. II parte 1617. Volume Vol. 4
Francesco Zazzera, Micco Spadaro
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 134
La cavalleria del principe di Avellino libera Vercelli e Milano ma la bolla del papa a Borgia favorisce usurai, puttane, meretrici e dame in bianco e vesti d'argento: le banche private vengono date in affitto a terzi, l'Ave Grazia Plena è dei Tocco, mentre il collegio dei medici dà lezioni sugli uomini illustri. Tutto il 1617, come abbiamo visto anche nella prima parte, gira intorno a due eventi principali. Uno è la sfida all'armata di Venezia, in un certo senso vinta dai Napoletani e festeggiata con il Carnevale dei grandi, la festa ricreta dal Viceré affinché nobili e popolo scendessero a Piazza Mercato tutti mascherati, quasi a suggellare la sconfitta veneta, che è la vera perdita del dominio sul Mare Adriatico. L'altro evento, che compare in questa seconda parte, va a chiudere il ciclo di un altro scontro, che quello con i Francesi e, in particolare con i Savoia, a cui i Napoletani furono chiamati per dare man forte al Toledo governatore spagnolo di Milano. Agosto si apre con una passeggiata in carrozza a Posillipo. Il Viceré era turbato da una lettera, fatta leggere a tutta la città, con cui gli ambasciatori imperiali offrivano a Venezia la restituzione del bottino napoletano, mentre 2.000 soldati spagnoli sbarcavano a Napoli. L'ira divina non mancò di prendersela calando sulla città tempesta, tuoni e fulmini che colpirono la cupola del tesoro, quella dell'Arcidiocesi appena ristrutturata, facendo saltare dalle mura solo la croce. Brutte notizie giungevano da Vercelli per la morte di quindici ufficiali, fra cui Pimentel, Leyva e Mormile, Titta Griffo; salvo Giovanni Bravo. Il Viceré aumentò feste e commedie, intensificandosi la tresca con Rosinella, e le due nipoti di Cicinella Carafa, però senza far mollare le incursioni dei Napoletani nel Golfo di Venezia, sbarcati a frotte a Trieste, all'incontro con quattro barche armate di Albanesi, ma senza lasciarsi sfuggire il carico d'olio delle due navi verso Ancona, sotto lo sguardo attonito dei veneti, fermi a Capodistria. Intanto a Napoli i cavalieri si prendevano a coltellate, lasciando D'Afflitto, morto a terra, e Reviglioni, additati come spie dei Savoia e artefici del colpo alla banca di Amalfi, e accusati di aver avvelenato gli acquedotti napoletani. In molti partono per Firenze, dove è richiesta cavalleria e fanteria dentro e fuori Napoli. Uno schiavo di Giovanni Simone Polverino accoltella due o tre e anche uno sbirro e il panettiere, finché, preso, è impiccato. Pietro Caravita diventa Consigliere comunale e fa vendere la Banca dei Longo, dopo la morte del titolare mastrodatti, fratello di Carlo e del giudice Aniello, padre del Marchesino fattosi nobile fra i Longhi di Cosenza. Festa delle amazzoni a Palazzo: dodici Dame in bianco con le trenette d'oro e manto d'argento; ballano col gancio la Marchesa della Valle e la contessina Riccarda Fabri. Le migliori vittorie riportate in Lombardia, cioè legate alla liberazione di Vercelli dai Savoia, per riconsegnarla a Milano, e da altre fortunose battaglie fra Pavia e Mantova, che ebbero sicuramente non un solo vincitore, ma di certo un comandante di gran valore, quale il generale della cavalleria Camillo Caracciolo, Principe di Avellino. Il 1617, quindi, passerà agli onori delle cronache non solo per la fine della guerra fra Milano e i Savoia, ma anche per la morte di questo nobile cavaliere, subito dopo la liberazione di Vercelli.
Abecedario di Eboli (Salerno) 9. Genealogia, cognomi e toponomastica: Locum Eboli, Civitate Eboli e Castello Evoli con S.Lorenzo al Castello e loco Francavilla
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 166
Senza mescolare troppo fra loro i vari toponimi di luoghi diversi chiamati 'Eboli', onde evitare confusioni, volendo però tracciare un minimo di percorso storico come prologo alla descrizione dei luoghi citati ufficialmente nel 1700, abbiamo voluto riportare qualche riferimento relativo alle pergamente dell'Archivio di Cava e dell'Archivio di Montevergine, vere o false che siano. Pertanto, già nell'anno 869 dopo Cristo, si ha notizia negli atti della originaria Badia di Cava, quella sita in Loco Mitiliano, di un primo toponimo riferito ad Eboli, cioé de Locum qui Eboli nuncupatur. Andato distrutto questo primario luogo abitato a causa delle continue guerriglie longo-normanne, sempre prendendo per veritiera la pergamena, i suoi abitanti si ritrovano trasferiti in un Castello, quindi in un luogo diverso. È la fortezza che nell'aprile del 1047 viene citata parlandosi di un ristretto ecclesiastico dipendente da Cava, plures rebus staviles foris Castello Evoli che comparirà anche come feudo, nel Catalogo dei Baroni, che, diversamente da altre interpretazioni, andrebbe datato 1092. Passati i suoi signori feudali al seguito di Federico II di Svevia, nel 1219, Eboli fu accolto nel Demanio Regio. Quando giunsero sul posto i monaci di Montevergine, nell'anno 1221, lo fecero per costruire un proprio ospedale, obedientiam et hospitale Ebuli, dipendente dai verginiani per volere regio; potere che si rafforzerà anche per la nascita dell'ecclesias Sancti Martini et Sancti Blasii et hospitale pauperum cum domibus molendinis redditibus et possessionibus suis, tolti e poi reintegrati al monastero da Carlo I d'Angiò con Ecclesiam Sancti Georgi, l'orto presso Sancte Catherine, da cui la tassazione delle decime pontificie, quando si ritrovò nella nuova ripartizione territoriale del papa seguita al terremoto del 1348. Ma la prima chiesa antica del Castello di cui si ha notizia nei documenti verginiani è sicuramente quella di San Lorenzo seguita da San Bartolomeo. Tralasciando la storia antica, ci piace sottolineare come località ebolitane oggi apparentemente ininfluenti dal punto di vista geopolitico siano state nel passato considerate beni di scambio fra i primi possessori ai tempi dei re normanni. Luoghi come Gorgo e Gratalia sono infatti citati in una pergamena del luglio 1168 scritta proprio ad Eboli e poi, per diverse vicissitudini, finita nell'Archivio Storico del Monastero di Montevergine. Prima di allora, ad essere citata, quale prima chiesa nata presso i preesistenti possedimenti cavensi, è San Lorenzo. S.Lorenzo compare come per la prima volta in una cartula venditionis del giugno 1135 quando Alberada vende una casa sita intus muro de Castello Ebuli in Vico Sancti Laurentii che, nel 1163, sempre da fonte cavense, possiede sicuramente il titolo di Parrocchia, in parochia Sancti Laurentii meglio precisato in una pergamena verginiana del 1168, mantenendolo fino al 1836 quando venne trasferito alla chiesa di San Francesco dei soppressi Padri Minori conventuali. Quello del 1168 è un documento originale, il n.485, in scrittura beneventana. La pergamena fu scritta pro defensione monasterii di Montevergine riferita ad una domus, cioè una casa della Parrocchia di San Lorenzo.
Isabella l'imperatrice: sorella di re Enrico III d'Inghilterra e sposa di Federico II di Svevia: la tradizione inglese del Natale, le nozze, la reggia, la prigionia in Puglia
Sabato Cuttrera
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 178
Isabella abitò il castello di Gloucester. Nei registri quotidiani delle spese, alla data del 13 novembre 1231, venne annotato che Guglielmo, sarto del re, ebbe l'incarico di recarsi di persona alla fiera di St. Edmondsbury, per acquistare vari articoli per l'abbigliamento del suo padrone, una tunica, una sopravveste e un mantello di panno azzurro, e altri pezzi, fra cui un mantello di daino, per Lady Isabella. Il regalo di Natale fatto dal Re Enrico a sua sorella fu di tre piatti e tre saliere d'argento. Pochi mesi dopo le donò anche un calice d'argento dorato, con due tovaglioli d'altare per la sua cappella e altri arredi sacri. Le provviste per lei e la famiglia dovevano però essere fatte da due o tre uomini onesti di Gloucester. «Il Re stesso contribuì in gran parte alla sua dispensa con doni di vino e cervi, e fece anche riservare un tratto di una delle sue attività di pesca al suo uso. Le voci per Isabella sono meno frequenti nell'anno successivo. Viene menzionata due volte mentre riceveva piccoli doni di carne di cervo dal re, e arriva un ordine secondo cui Warin, il cappellano regio inviato a Isabella, riceverà un sostegno adeguato per due cavalli e due uomini per i suoi utilizzi». Tra i regali c'erano una tavola e una tavoletta d'avorio di Sardegna, che la contessa di Ponthieu aveva donato al Re, e una tavola da scacchi e pedine, custodite in uno scrigno, anch'esso d'avorio, che aveva ricevuto dal priore di Gerusalemme. Fra i regali anche 24 fasci di seta lavorata e di oreficeria, donati al sovrano da parte di Adam of Shoreditch e di altri orafi. Queste fasce erano a quel tempo, e molto tempo dopo, tra gli articoli più costosi di abbigliamento femminile, e spesso erano incastonate da gioielli di grande valore, come quelli ricevuti in occasione del matrimonio con Federico II di Svevia, quando divenne Regina e Imperatrice, seguendo il marito nelle cerimonie in Germania e in Italia, fino a ritirarsi nel Regno di Puglia. Sebbene Isabella fosse stata così a lungo lontana dall'Inghilterra, tuttavia, quando la sua vita stette per volgere al termine, i pensieri e gli affetti si aggrapparono ai momenti belli della sua giovinezza. Si dice che la sua ultima richiesta fatta al marito fosse quella di instaurare rapporti ancora più amichevoli con suo fratello, il Re Enrico III, e assisterlo con consigli paterni ogni volta che ne avesse avuto bisogno. La sua morte avvenne a Foggio, nella regione di Napoli, e fu sepolta con gli onori imperiali nell'antica città di Andria. L'Imperatore ritenne opportuno che i suoi funerali fossero celebrati in tutta la Puglia, e scrisse la seguente lettera alla magistratura della provincia: Così la lettera di Pier della Vigna: - Non siamo riusciti a sfuggire alle insidie di un nemico nascosto, poiché, dopo aver sottomesso innumerevoli regioni al giogo della nostra maestà, e mentre possedevamo pace e tranquillità, la sventura di una morte improvvisa ci ha portato via violentemente la serenissima Augusta, nata da stirpe reale. Non possiamo dunque mostrare gioia nel volto, poiché la morte del nostro consorte ci spreme una coppa di amarezza, e ci molesta e ci opprime molto. Tuttavia non siamo disposti, per l'amarezza del nostro dolore, a influenzare la nostra maestà in modo da offendere il nostro Creatore, o a lasciare che l'immensità del nostro dolore ci impedisca di conferire degnamente e con riverenza l'onore che si conviene e si addice alla nostra consorte, poiché desideriamo particolarmente che la memoria di un tale partecipe dei nostri onori sia celebrata su tutta la terra. Perciò vi ordiniamo severamente che le sue esequie siano celebrate universalmente in tutta la vostra giurisdizione, da tutti gli abitanti in ogni luogo, e principalmente dal clero e dal popolo delle città - le campane vengono suonate ovunque - affinché coloro che sono riuniti nelle chiese possano raccomanda soprattutto l'anima dell'Augusta al Dio vivente, che toglie lo spirito dei principi.
Diari di Napoli, il manoscritto di Zazzera e gli omissis inediti svelati. Storie vere di streghe, fattucchiere, poveri carcerati, femminicidi (1 gennaio-31 agosto 1616)
Francesco Zazzera, Micco Spadaro
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 152
Sono le storie di falsari di monete, feste insanguinate, Scioglimento del sangue di San Giovanni in San Ligorio, veleno al Conte di Casalduni, arrestati i Cavalieri di Malta... «Dalla cortesia del virtuoso gentilhuomo Don Antonio Savastano si è ottenuta la presente copia nel 1667 per op[e]ra dell'Ecc[ellen]za pittore Domenico Gargiulo seu Micco Spataro». Ha così inizio il manoscritto, si presume inedito non essendo stata trovata alcuna copia a stampa dell'intera versione originale, ma solo alcuni stralci che vengono messi in discussione e comparati. Gli errori e le cronache trasformate in sunti dagli storici vengono così smascherati e riportata alla realtà la sola cronaca, vera, che è poi quella copiata dallo Spadaro, grazie alla quale crealizzò dipinti fedeli ai fatti pur non avendoli tutti vissuti. Come nello stile di ABE abbiamo lasciato inalterate le cronache, riavviando la collana che descrive cosa successe, anno per anno, a far data, in questo caso dal 1616, senza manipolazioni di sorta. Migliaia di noi, luoghi e fatti sconosciuti che tornano a vivere in queste pagine di storia pura, ma anche quelli noti, arricchiti di particolari inediti, sposalizi, omicidi, banchetti, feste, sconti, sommosse, pianti e risi del popolo napoletano. Questo primo volume tratta: premessa storica di Gregorio Leti: il vicere' che sapeva tutto di tutti, le nove regole da rispettare; introduzione ai ms del copista «A» Diario del signor Francesco Zazzera, il primo anno del duca di Ossuna - ms integro; Introduzione ai ms del copista «B», le narrazioni di Francesco Palermo: L'edizione tronca, monca e modificata; introduzione ai ms del copista «C» L'istoria di Napoli dell'anonimo; gli inserti tratti dal manoscritto inedito, prologo sul 1616 I diurnali monchi di Scipione Guerra e Aspettando un governo pieno di travagli: i sei mesi precedenti di Tommaso Costo, frontespizio del copista di Micco Spataro, nota dell'autore di Francesco Zazzera: Diarij del governo del duca d'Ossuna descritti da Francesco Zazzera. Il sangue di San Giovanni alle monache di San Ligorio, pre grazia a Comite, il grano fradicio spacciato da Michel Vaaz, ricordo di Tristano Caracciolo, arresto di Ferrante Venato, banchetto regale, panegirico del Marchese di Cusano, arrivo del generale de Else e del Maqueda comandanti della compagnia spagnola, l'arcivescovo Ludovico di Bologna inviato a frenare la guerra coi Savoia, ammanco degli ufficiali del Tribunale, Vittoria de Mendoza amante del Viceré. Monete d'argento per le donne di Chiaia che si scompigliano, in gondola a Posillipo, Michele Vaaz sostenitore del vecchio Viceré, tre tempeste sul ponte del molo, successi di Milano con Toledo in Piemonte, Lorenzo de Franchi avvocato fiscale della Vicaria al posto di Gasparo Saluzzo, la morte del vescovo di Nardò, lezione al comune di Brienza, le guardie regie lasciano Posillipo e tornano a Somma, sacco del ponte donato a marinai e alabardieri.
Diari di Napoli, il manoscritto di Zazzera e gli omissis svelati. II parte 1612. Volume Vol. 2
Francesco Zazzera, Micco Spadaro
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 152
Sono le storie di liti per chi porta l'oro e il cappello di san gennaro, femminicidi dell'avaro col genero e di portocarrero, il tagliateste a corrotti cassieri di reliquie e gioielli poi tutti imbarcati per liberare vercelli dai savoia dei Seggi delle Piazze, liberato Ferrante Venato, Malore del Cardinale Sforza, negozi di Vaaz e del Marchese di Cusano scolare dei Gesuiti, che misero le mani sul panegirico di questo genero di Lazzaro mercante di veli, la vedova di Vicedomini rimaritata al Reggente Barionovi, salumi e formaggi nella dispensa dei galeotti, nozze calabresi alla figlia di Fabrizio Gonzaga col giudice Francesco d'Ocampo, querela fra i fratelli Minutillo per la nipote goduta dal cavalier Contessa con morte per veleno del Conte Sarriano di Casalduni, Marcello Lanfranco commissario di campagna favorito dalla Duchessa di Maddaloni, Cardinal Carafa va a trovare Sforza, il dottore Ottavio Stinca carcerato dal capitan Modarra, festa di Piedigrotta e ballo a palazzo coi Cardinali, ordine per Don Ottavio d'Aragona di far tagliare le orecchie a chi fece fuggire i turchi dalla galea... «Dalla cortesia del virtuoso gentilhuomo Don Antonio Savastano si è ottenuta la presente copia nel 1667 per op[e]ra dell'Ecc[ellen]za pittore Domenico Gargiulo seu Micco Spataro». Ha così inizio il manoscritto, si presume inedito non essendo stata trovata alcuna copia a stampa dell'intera versione originale, ma solo alcuni stralci che vengono messi in discussione e comparati. Gli errori e le cronache trasformate in sunti dagli storici vengono così smascherati e riportata alla realtà la sola cronaca, vera, che è poi quella copiata dallo Spadaro, grazie alla quale crealizzò dipinti fedeli ai fatti pur non avendoli tutti vissuti. Come nello stile di ABE abbiamo lasciato inalterate le cronache, riavviando la collana che descrive cosa successe, anno per anno, a far data, in questo caso dal 1616, senza manipolazioni di sorta. Migliaia di noi, luoghi e fatti sconosciuti che tornano a vivere in queste pagine di storia pura, ma anche quelli noti, arricchiti di particolari inediti, sposalizi, omicidi, banchetti, feste, sconti, sommosse, pianti e risi del popolo napoletano. Questo primo volume tratta: premessa storica di Gregorio Leti: il vicere' che sapeva tutto di tutti, le nove regole da rispettare; introduzione ai ms del copista «A» DIARIO DEL SIGNOR FRANCESCO ZAZZERA, IL PRIMO ANNO DEL DUCA DI OSSUNA - MS INTEGRO; Introduzione ai ms del copista «B», le narrazioni di Francesco Palermo: L'EDIZIONE TRONCA, MONCA E MODIFICATA; introduzione ai ms del copista «C» L'ISTORIA DI NAPOLI DELL'ANONIMO; GLI INSERTI TRATTI DAL MANOSCRITTO INEDITO, prologo sul 1616 I DIURNALI MONCHI DI SCIPIONE GUERRA e ASPETTANDO UN GOVERNO PIENO DI TRAVAGLI: i sei mesi precedenti di tommaso costo, frontespizio del copista di micco spataro, nota dell'autoredi francesco zazzera: DIARIJ DEL GOVERNO DEL DUCA D'OSSUNA DESCRITTI DA FRANCESCO ZAZZERA Il sangue di San Giovanni alle monache di San Ligorio, pre grazia a Comite, il grano fradicio spacciato da Michel Vaaz, ricordo di Tristano Caracciolo, arresto di Ferrante Venato, banchetto regale, panegirico del Marchese di Cusano, arrivo del generale de Else e del Maqueda comandanti della compagnia spagnola, l'arcivescovo Ludovico di Bologna inviato a frenare la guerra coi Savoia, ammanco degli ufficiali del Tribunale, Vittoria de Mendoza amante del Viceré. Monete d'argento per le donne di Chiaia che si scompigliano, in gondola a Posillipo, Michele Vaaz sostenitore del vecchio Viceré, tre tempeste sul ponte del molo, successi di Milano con Toledo in Piemonte, Lorenzo de Franchi avvocato fiscale della Vicaria al posto di Gasparo Saluzzo, la morte del vescovo di Nardò, lezione al comune di Brienza, le guardie regie lasciano Posillipo e tornano a Somma, sacco del ponte donato a marinai e alabardieri. Imbarco di 200 moschettieri col Di Maqueda, 300 nobili cavalieri fra i principi di Stigliano Bisignano, Conca e Avellino.
Diari di Napoli, il manoscritto di Zazzera e gli omissis inediti svelati. I parte 1617. Volume Vol. 3
Francesco Zazzera, Micco Spadaro
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 178
Sono le storie de: l'Accademia degli Oziosi del Mansi, la spia del Papa, naufragio della flotta, la lite sui resti di Bona Sforza 1200 soldati a Pavia, epidemia dalla Grecia: niente carne, il piano dei Savoia per svaligiare la banca di Amalfi. La briga di Don Carlo Caracciolo con la cortigiana Runnella frea le cause del Di Costanzo, e scontro poi per Donna Eugenia e Rotolina, poi l'infame Bambace, alias Cicco Capano, e i giochi messi al bando dal Viceré per i troppi guai commessi da Pentio Cava, Giovancarlo Magro, Tonno Prota, Costanza d'Afeltro, fra' Nastaro e l'Urbetano. Ma il carnevale di S.Antuono, mentre i Napoletani combattono con Milano su Novara, entra nel vivo con nuovi invitati ai festini regi; il dottor Ortenzio del Pozzo, il Cardinal Farmese, mentre l'avvocato del popolo Carmillo della Marra, nulla poté per salvare fra' Orazio Minutolo della scomunica e l'invenzione fasulla di Giuseppe Milano per salvare Napoli dai debiti. I regenti della Vicaria, Costanzo e Lopes aveva già sotto torchio dei consigliei Patigno e Palazzo la povera Donna Eufrasia, mentre si era pronti per far giudici il figlio del consigliere Rovito e quello del presidente Saluzzo. Ma era già Carnevale per tutti, con marchesi, principi e duchi, da Cammarota a Pompeo Brancaccio, da Camillo delli Monti a Madaluni, Conca, San Donato e Avellino, pronti a giostrare, evitando la scaramuccia di Caracciolo e Mariconda contro uno spagnolo, mentre con altri cavalieri come Saripando andavano dal Papa, applauditi dal Cardinale Borghese. Ma al pro regente Santo Iacono non stava simpatico il capitano Carlo Carafa di Bitetto. Feste, balli e canti a Palazzo, presero il sopravvento sulle messe. Ma non mancò il Cardinal Carrafa di favorire Lucio Piscicello a giudice della Vicaria al postyo di Martino, pronto alle cause di Geronimo de Guevara e Alfonso Acquaviva, e a capire meglio la rissa fra il dottore Funicella e Giacomo Di Bologna che litigò con Panarella, difensore dell'avversario. Così, mentre il Duca si godeva la Tragedia del Re Gordiano, il capitano spagnolo Francesco de Leon cadde nell'imboscata dei Maddalonesi e l'eletto di Montagna, Orazio Muscetta faceva carcerara il panettiere liberato da Golino eletto del popolo. Gennaio si chiudeva col Fra' servente de Ferraris, e gli intrecci di Sora, Mantova e Firenze per la famiglia a lutto, e Sergio Muscettola e il Barocello d'Aponte che pretendevano il prestito fatto a Luis de Toledo dal genero Conte di Pacentro corso dal Viceré, giudice supremo. Il Marchese di Cusano fa fare il panegirico al fratello e non vuole essere disturbato dal Viceré impegnato alla festa nel monastero di San Ligorio e al festino in casa del consigliere Iancono de Franchis e del consuocero Francesco Acquaviva. Obbligo di maschera e di riempire i carri di carnevale per la sfilata al Mercato con la giostra messa su da Cillo del Tufo in coppia mascherata col Duca di Torre Maggiore, ma il Cardinale Sforza arriva in carrozza fra 200 cavalieri mascherati come Peppe Milo, con la Viceregina a guidare il corteo per Via della Loggia. la festa non fermò Mastrillo e gli altri giudici contro gli arrendatori per le frodi sul vino, Gabriele de Martino, Giovan Tomase Borrello, Giovan Battista de Rinaldo, né Don Eufrasia condannata all'esilio mentre l'arcivescovo di Spalatro si dichiara antipapa in Inghilterra contro il Re con sediziosi ingegni e eresie. La Napoli è tutta presa dai canestri di galanterie, ricchi di porchette, capretti, frutti, correndo tutti, come Giacomo de Franco, a vedere la commedia e il Cavaliero del Travaglio in cartellone con l'incamiciata dei cavalli, prima delle quarant'ore di Quaresima e della causa di Giovan Vincenzo Sebastiano. Così mentre a Milano i Capitani Napoletani combattono feriti per soccorrere Crevacore, vi muore il castellano Sancio de Luna e finisce prigioniero Carlo de Sangro. Il giudice Piccolella, spinto da Giulio Mastrillo.
Isabella d'Aragona: la vedova grigia di Giangaleazzo Sforza di Milano (non chiamatemi Donna Sabetta della Duchesca di Napoli)
Arturo Bascetta
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 158
Isabella era donna coraggiosa e saggia, mentre suo marito Gian Galeazzo, se era d'indole mite e animato da buoni sentimenti, ma mancava d'ingegno negli affari. La promessa di matrimonio tra Gian Galeazzo Sforza, Duca di Milano, e Isabella d'Aragona, figlia del Duca di Calabria, alla corte di Napoli era nell'aria già da anni, e quello che si era stipulato, mentr'essi erano ancora fanciulli, «dovevasi effettuare adesso che l'uno toccava i quattro lustri, e l'altra aveva sorpassato i tre». Questo libro è la ricostruzione di quell'ambiente, fra volti e tracce di fasti, che hanno affascinato tutti gli storici che si sono imbattuti nel Rinascimento. «Il Moro aveva sul principio pensato che con questo matrimonio, mentre secondava il desiderio della dinastia aragonese, avrebbe potuto procacciare il proprio meglio. Il contratto di nozze si segnò nel Castel Nuovo di Napoli, addì 22 dicembre 1488. Subito dopo Isabella, i milanesi che erano venuti a riceverla, e la sontuosa comitiva che l'accompagnava, fecero tutt'insieme vela per Genova, per poi avviarsi verso Milano. «Inaudito» l'apparato messo su per quell'evento nazionale del 1 febbraio 1489, quando la giovane e bella napoletana fu accolta nel castello milanese per il matrimonio. I festeggiamenti pomposi erano questa volta uno scherno: Isabella si trovò infelice dove avrebbe avuto il diritto di essere rispettata e amata. E il Moro, con Isabella fosse incinta, raddoppiò la guardia intorno al Duca, quasi la tenesse prigioniera nel castello di Pavia...

