«Emerso da una specie d’eternità della fama a una specie d’eternità dell’infamia», la via d’uscita di Oscar Wilde, la sua «Vita Nuova», non gli evitò l’esilio dopo il carcere, l’invecchiamento precoce, la morte a quarantasei anni, ma gli permise ancora una pacata ironia, il distacco autocritico, la capacità di perdono e di amicizia, il non cedimento all’odio e alla malinconia. Ne sono testimonianza i due ultimi testi della sua vasta produzione letteraria: il primo è il De Profundis, titolo dato dal suo amico e curatore testamentario Robert Ross a una lunga «lettera dal carcere» indirizzata e mai spedita al principale responsabile della sua catastrofe giudiziaria, il giovane Bosie (Lord Alfred Douglas). Il secondo è la Ballata del carcere di Reading, suo capolavoro in versi, costituito di 109 sestine, e sua estrema difesa nella rappresentazione dell’amore stesso per cui fu incarcerato e infamato, nella discolpa di un condannato a morte che aveva ucciso «la cosa che amava», di fronte a tutti coloro che «La cosa che si ama uccidono / […] / Con un bacio lo fa il baro, / Di spada il prepotente!», e infine nell’appello e rifugio in Cristo «finché i morti chiamerà ». (Dallo scritto di Sandro Boato)
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La ballata del carcere di Reading
Titolo | La ballata del carcere di Reading |
Autore | Oscar Wilde |
Curatore | Sandro Boato |
Argomento | Poesia e studi letterari Poesia |
Collana | Piccola enciclopedia, 136 |
Editore | SE |
Formato |
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Pagine | 88 |
Pubblicazione | 10/2020 |
ISBN | 9788867235582 |
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