ABE: Dissertazioni & conferme
Il palazzo badiale dei Papi beneventani a Pietrastornina (la roccia scalata da papa Leone XIII, i Lottiero d'Aquino principi toscani, i fratelli Massa, faenzari del chiostro di S. Chiara)
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 190
Questa seconda parte sui personaggi storici di elevata caratura che ruotano intorno al palazzo di Pietrastornina che ospitò papi, re e principi, consegna alla storia altre bellissime pagine che riguardano l'ex dipendenza beneventana. Il viaggio nella storia delle chiese del ridente paesino ai piedi della montagna del «Monte Vergene», arcipretura trecentesca dell'urbe Benevento, rinata dopo il sisma del 1348, continua con nomi altisonanti che giunsero e soggiornarono in paese. Come abbiamo già avuto modo di dire, qui si svilupparono le antiche chiese di S.Maria de Juso e di San Bartolomeo che dipesero dalla Chiesa metropolitana beneventana, oppidi sofiani da cui si distaccarono i feudi delle due Torri che diedero vita all'Università comunale del Regno di Napoli, a sostegno della tesi dell'autore. Arturo Bascetta ci accompagna per mano alla scoperta di aneddoti e piccoli episodi che coinvolgono persone e personaggi che ruotano in una miriade di località nate dallo sgretolarsi dei 36 casali cittadini. A fare da filo conduttore immaginario è la visita ad limina che a suo tempo fece l'arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, futuro Papa, fra le chiese da ricostruire, sostando poi nel Palazzo della Collegiata di Pietrastornina dove visse la prima estate del suo trasferimento a Benevento. Il suo Diario è una fonte preziosa per conoscere i dati dell'epoca riferiti alle chiese, quasi tutte da ricostruire, come egli stesso scrive. Pietrastornina «a dì 8 settembre 1694, la chiesa arcipretale coll'altare maggiore si mantiene dalla Università, in supplemento dalle proprie rendite della chiesa. A dì 10 settembre 1694 la chiesa parrocchiale di S.Bartolomeo apostolo col suo altare maggiore: essendo rovinata questa chiesa prima dell'anno 1703 è stata trasferita la parrocchia alla nuova chiesa di S.Rocco». Il 10 ottobre 1706, il futuro Papa Orsini, attesta che «la chiesa di S.Maria delle Grazie, grancia de' padri di Monte Vergine col suo altare maggiore, si mantiene colle rendite della stessa grancia. A dì 21 settembre 1722 la chiesa di S.Rocco col suo unico altare si mantiene colla propria dote, ed in supplemento dall'Università: l'altare però colla dote assegnata dal signor Principe della Terra, patrono del medesimo» altare. Ma lasciamo che sia l'autore a guidarci in questo prezioso scrigno che si apre ai nostri occhi, mostrandoci i tesori dell'arcipretura di Pietrastornina da egli trascritti con sagacia e pazienza direttamente dalla fonte, che è il nostro Archivio Parrocchiale, in tutti questi anni di paziente lavoro. Questa seconda parte, in particolare, si snoda intorno al viaggio di una figura di elevata caratura, come lo fu quella di Papa Leone XIII, che risulta aver soggiornato a Pietrastornina in gioventù, quando era delegato apostolico beneventano. All'epoca era in via di guarigione per una malattia che lo colpì in gioventù e che lo vide spesso a riposo nelle campagne e nel paese del palazzo estivo dei papi Beneventani. In particolare, del suo soggiorno a Pietratornina, si ricorda quella volta che volle scalare la roccia al centro del paese e alta 240 metri in soli 30 minuti, nonostante le esortazioni di Don Nicola Campobasso, padre francescano del paese e discendente della famiglia titolare del Palazzo che ancora svetta sulla pubblica piazza. Sono pagine di storia da ricordare, raccontare, conservare, come nello stile di Arturo Bascetta, storico ormai di fama internazionale, i cui scritti sono presenti nelle biblioteche universitarie del mondo. Don Giovanni Panichella Parroco di Pietrastornina (Av)
Otello Calbi. Rapsodia libera di un seminatore di note
Virgilio Iandiorio, Roberta Calbi
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 160
Una preziosa testimonianza quella che con evidente affetto filiale, ma soprattutto con profonda ammirazione, Roberta Calbi ci dà dell'illustre genitore a trenta anni dalla sua scomparsa. Otello Calbi «ha percorso molte strade, esplorato nuovi percorsi, un po' restando nella tradizione ma anche cercando e trovando soluzioni nuove». Mettendo ordine nei numerosi appunti lasciati dal Maestro - quasi sintetico diario di bordo - Roberta Calbi ci delinea la figura di un artista instancabile e tenace, sempre appassionato nelle sue manifestazioni musicali, fortemente impegnato nella promozione delle giovani generazioni. Una serie di flash sui momenti salienti della vita e della carriera del Maestro ci aiutano a scoprire alcuni aspetti del suo carattere. Nato in provincia di Matera approda al San Pietro a Majella per coltivare e far crescere il precoce talento musicale divenendo poi stimato docente della prestigiosa Istituzione dalla fine degli anni '50 alla pensione. Così viene ricordata la sua esperienza di docente: «allievi, prove, concerti, diffondere la musica ai giovani, valorizzare le capacità dei giovani musicisti, questo l'impegno che lo caratterizzava, costante e sempre più intenso». La "rapsodia libera di un seminatore di note" si dipana con grande piacevolezza tra le mani del lettore: si ha modo di conoscere un Otello bambino (fin dall'età di 8 anni suonava nella Banda del suo paese natale), i suoi rapporti con il padre e i fratelli musicisti, le sue frequentazioni ed amicizie - rimaste salde nell'arco della vita - ma si scopre anche un giovane studente dallo sguardo corrucciato al cospetto della storica statua di Beethoven posta nel cortile del conservatorio, un giovane e appassionato allievo di Achille Longo, Gennaro Napoli, Ennio Porrino, un autore di musica da camera e per il teatro, un padre e un marito affettuoso, un critico musicale e un saggista, un uomo di cultura appassionato di poesia… Per i musicisti della mia generazione e in particolare per quelli che tra la fine degli anni '70 e la metà degli anni '80 del secolo passato erano studenti di Composizione al San Pietro a Majella, alcuni nomi di docenti e compositori napoletani risuonavano particolarmente familiari: Aladino Di Martino, Bruno Mazzotta, Jacopo Napoli, Alfredo Cece, Otello Calbi … personalità che pur nella diversità del proprio sviluppo artistico, manifestavano tutte quei tratti ascrivibili ad una "comune scuola" napoletana. Con serenità e consapevolezza, ma tutti con proprie personali vedute, questi compositori non persero mai di vista l'emozione del suono (l'espressione melodica, il gusto per l'armonia…), tutto quello cioè che, con furia demolitrice, la "nuova musica" della metà del '900 bandiva dalla composizione contemporanea. La loro posizione era sostanzialmente conservatrice, estranea ad eccessi modernistici: essi attinsero consapevolmente alla musica delle diverse epoche storiche (senza escludere anche gli anni a loro contemporanei) purché risultasse utile alla realizzazione delle proprie opere e congeniale al proprio sentire artistico. Noi "giovani" di lì a qualche anno avremmo intrapreso strade diverse da quelle da loro tracciate, ma la stima e la riconoscenza nei confronti di coloro che a vario titolo contribuirono alla nostra formazione di docenti ed artisti è rimasta salda e immutata nel tempo. Al di là della diretta discendenza didattica (allievo di Aladino Di Martino, nel mio caso) tutti questi docenti e compositori hanno in qualche maniera influenzato le nostre storie e lanciato dei semi che sono stati raccolti e fatti germogliare. Sebbene abbia conosciuto il Maestro Otello Calbi di persona quando già cominciavo a muovere i primi passi da docente di composizione, nei primi anni '90 - quando il Maestro era oramai in pensione - il suo nome mi era invece molto familiare da tempo: ... Gaetano Panariello Direttore del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli
Delitti e processi nel secolo dei lumi: tenebrosi casi di varia criminalità nelle terre di papa e re. Eliseo Danza e altri. Volume Vol. 2
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 188
Questo libro nasce dalla lettura dell'opera di un romanziere polacco, Jan Potocki, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo e i primi anni di quello successivo. Il Manoscritto trovato a Saragozza è il titolo del romanzo, in cui vengono narrate tante storie, distribuite in sessantasei giornate, da personaggi che vengono a contatto con il protagonista del romanzo, Alfonso van Worden, capitano delle Guardie Valloni. Ecco la disquisizione di Eliseo Danza: Indice degli argomenti: a) La città di Benevento è da considerarsi extra Regnum? b) Un istrumento rogato extra Regnum, può essere esibito e avere piena validità nel Regno? c) Che cosa si richieda perché un istrumento rogato extra Regnum possa essere valido nel Regno (17). Di seguito l' abstract degli argomenti. 1) Se la città di Benevento sia extra Regnum. 2) la città di Benevento fu donata alla Chiesa da Carlo Magno. 3) La città di Benevento fu conquistata da Roberto il Guiscardo e riconquistata dal pontefice Leone IX. La città di Benevento è sottoposta alla Sede Apostolica. 4) Elogio di Benevento e sua nobiltà. 5) per quanto la città di Benevento sia extra Regnum, essa ricade nel territorio del Regno. 6) Se la città di Benevento è soggetta al potere giudiziario che proibisce l'estradizione nel Regno. 7) Se l'istrumento rogato extra Regnum, possa essere esibito nel Regno. 8) La motivazione. 9) L'strumento redatto extra Regnum può essere esibito nel regno quando non ci siano opposizioni. 10) Se il Notaio istituito nel Regno, redige un istrumento, questo ha valore extra Regnum? 11) Un istrumento rogato extra Regnum, per avere la stessa efficacia nel Regno, deve essere contrassegnato dalle firme di altri tre notai. 12) Un istrumento stipulato extra Regnum ha validità nel Regno se è corredato dalle lettere di testimoni o della comunità del luogo in cui viene stipulato. 13) Come debbono essere le lettere testimoniali. 14) se un istrumento rogato extra Regnum senza lettere testimoniali, può essere comprovato da testimoni. 15) In che modo i testimoni depongono su questi requisiti. 16) L'ufficio del Notariato non discende per via naturale, ma dalle competenze. 17) Non si suppone che una vedova sia tale, se non viene comprovato. 18) Una vergine si suppone che lo sia, perché la sua peculiarità è naturale. 19) La povertà è naturale e si presuppone. 20) Se un mandato, o una procura, fatto extra Regnum abbia validità nel Regno. 21) Un testamento redatto extra Regnum, se ha validità nel Regno e in che modo vada letto. 22) Se i contraenti non riconoscono il Notaio, il Notaio deve provare il titolo. 23) Se i contraenti negano che l'istrumento sia stato scritto dalla mano del Notaio, si richiede un altro riscontro e quale riscontro. v.i.
Canes di Giovanni Darcio da Venosa: traduzioni dal latino edite e inedite di Virgilio Iandiorio
Virgilio Iandiorio, Giovanni Darcio
Libro: Libro in brossura
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 132
Di lui sappiamo quello che ha scritto nella sua opera Canes, pubblicata a Parigi nel 1543. Darcio era nato a Venosa, difficile stabilire l'anno; nella sua città si dedicò all'insegnamento, poi si trasferì in Francia al seguito del vescovo Andreas Richer. Di lui non sappiamo altro. Può sembrare un'impresa folle, come quella di cui parla Michel Onfray a proposito della biografia di Lucrezio: «Bernard Combeaud [amico del filosofo che aveva tradotto il De Rerum Natura] nutriva il progetto egualmente folle di scrivere una biografia di Lucrezio. Noi sappiamo che della vita di questo poeta non sappiamo nulla. Bernard però sosteneva che la frequentazione intima del testo gli aveva permesso di intravedere l'uomo e si proponeva quindi di raccontarne a suo modo la vita» (M.Onfray, Vivere secondo Lucrezio, Parigi 2021, tr. It. Milano 2023 p.12). Giovanni Darcio manifesta nella sua opera una conoscenza profonda dei cani, dell'arte di allevarli e di addestrarli, acquisita con l'esperienza diretta, come afferma in due punti nel testo (comperta loquor, cioè, io parlo con cognizione di causa). Dai suoi versi, perciò, traspaiono, come in controluce, i tratti della sua personalità. Non saprei dire quanta fede possa avere questa biografia di Giovanni Darcio, scritta alla maniera degli autori delle novelle storiche nei secoli XVII-XIX. Sul fondo di qualche verità ho tessuto una tela di parecchi avvenimenti, contemporanei e di certo patrimonio della sua cultura letteraria e della sua esperienza. Ad ogni modo potrà risultare di gradimento a chi legge vedere che le cose, che mi fingo narrate in prima persona dal poeta, poniamo che non siano realmente accadute, possono, però, risultare almeno probabili, perché i riferimenti ad esse sono avvenimenti dell'epoca del nostro poeta. Una full immersion nel passato, come ci hanno abituato a vedere con i ritrovati della più sofisticata tecnologia, e le diavolerie informatiche dei nostri giorni. Ma navigare nel tempo passato o futuro che sia e anche nello spazio vicino o lontano da noi, ha sempre attratto la fantasia dell'uomo. E penso alla Storia vera di Luciano di Samosata, vissuto nel secondo secolo d.C., un racconto fantascientifico di viaggi al di là delle terre conosciute ai suoi tempi, in cui i protagonisti arrivano addirittura a viaggiare nello spazio e ad incontrare i Seleniti, gli abitanti della Luna. Senza scomodare altri famosissimi poeti e scrittori che hanno scritto di viaggi al di là del tempo e dello spazio, ho immaginato di ascoltare dalla viva voce del poeta Giovanni Darcio momenti della sua vita, ricostruiti attraverso le poche parole che di sé ha scritto nelle sue opere, poche anch'esse.
Lettere impudiche di uno scomunicato: il noce delle streghe, il falsario di Montecalvo, il puttanone di piazza dell'Olmo e altre storie napoletane e beneventane di Nicolò Franco
Virgilio Iandiorio
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 128
In questi ultimi anni, l'interesse per Nicolò Franco, poeta e scrittore beneventano del XVI secolo, è andato crescendo per una serie di motivazioni. La sua vicenda umana, la condanna per oltraggio e la conseguente esecuzione capitale sono state oggetto di studio e di ricerche. Come si sa, Nicolò Franco, nato a Benevento nel 1515, dopo aver frequentato gli ambienti culturali di diverse città tra cui Napoli, Venezia, Mantova, Monferrato, Roma, finì i suoi giorni sul patibolo l'11 marzo 1570 in seguito a sentenza del Sant'Uffizio, per aver scritto pamphlet contro famiglie allora in auge nella Chiesa. I suoi libri,1 che per essere stati pubblicati quando fiorivano in Italia grandi poeti e scrittori, sono stati letti badando più agli accostamenti e ai confronti con essi, oggi ricevono la giusta attenzione di studiosi e lettori, dando il dovuto rilievo ad uno dei protagonisti della letteratura italiana della prima metà del Cinquecento. Per Eleonora Impieri è "Nicolò Franco un uomo di pensiero aperto alle novità intellettuali del suo tempo, degno esponente di una cultura alternativa in grado di ipotizzare e presagire l'immagine di una società felice. Non si tratta di una pura e semplice utopia, bensì di un sogno continuamente riproposto da un moralista non certo privo di contraddizioni e alieno ai compromessi, ma pur sempre vero e autentico in ogni sua dissacrante invettiva sorta dalla sua travagliata esistenza". Delle opere di Nicolò Franco l'Epistolario ha catturato il mio interesse, in particolare, per le sue annotazioni su personaggi e paesi della sua città, Benevento e Provincia di origine, il Principato Ulteriore. Benevento ha una peculiarità: appartenere allo Stato Pontificio e trovarsi, in un'enclave, nel territorio del Regno di Napoli. La città sannita fu l'unico centro urbano del Mezzogiorno che non cadde in potere dei Normanni, essendosi posta sotto la protezione della Chiesa.
Abecedario di Montefusco: tutti gli abitanti e i luoghi del 1700 nella città del prorex Consalvo di Cordova, sede del giustizierato spagnolo del principato ultra, divenuta provincia del regno di Napoli
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 118
Nel 1599, come da Concilio provinciale, l'arcivescovo di Benevento ottenne la facoltà di riconferire le insigne badiali mitrate dentro lo stesso Regno di Napoli. La provincia ecclesiastica aveva 18 vescovi su 25, sebbene fossero stati 32, perché in antico comprendeva tutta la Puglia ed era chiamata Metropoli Campania: latissima est ejus Provincia decem et octo Episcoporum, licet non multum sit temporis, cum viginti quinque esset, ut in valvis aereis ipsius Ecclesiae et nomina Episcoporum, et effigies monstrant. Olim vero triginta due habuise, et Metropolim Campaniae, totiusque Apuliae appellatam esse antiquissima ipsius documenta testantur. L'arcidiacono Nicastro confermò l'uso di mitra e pastorale alle 12 abbazie antiche recensite: usum Mitrae habent; nempe S. Mariae de Strata, S. Mariae de Fasolis, S. Mariae de Eremitorio, S. Petri de Planisio, S. Laurentii de Apicio, S. Maria a Guglieto (e fin quindi ne elenca 6), in presentiarum Collegio beneventano Societatis Jesu unitae, S. Mariae de Decorata, S. Maria de Campobasso, S. Maria de Ferraria prope Sabinianum, S.Mariae de Venticano Bibliothecae Vaticanae unitae, et S. Silvestri in Oppido S. Angeli ad Scalam (altre 5). V'erano altre 4 abbazie et S[anta] R[omana] E[cclesia] cardinalibus commendatur, cioè che risultavano commisariate perché sono finite in Commenda: - S. Sophiae Beneventi, -S. Joannis in luco Mazzocca, -S. Maria de Cripta in Oppido Vitulani, -et S. Fortunati in oppido Paulisiorum. Erano poi le 3 Commende Equitum (prefettizie): - S. Joannis Hierosolymitani Beneventi, - Montisfusci, - et in Oppido Montisherculis enumerantur. E ve n'erano altresì 2 esistenti in Benevento: - Collegiatas Ecclesias S. Bartolomae praecipui Patroni, - et S. Spiritus. Furono invece 6 quelle costruite o da costruire in Diocesi: - nempe S. Joanuis in Balneo praefatae Civitatis Montifusci, - SS. Annunciationis Altavillae, - SS. Assumtionis Montiscalvi, - S. Salvatoris Morconi, - S. Bartholomei Padulii, - et SS. Trinitatis in Oppido Vitulani anno 1716 eretta. Nella nota seguono i dati sui 178 luoghi, compresi quelli con le grancìe ex dipendenze delle abbazie beneventane, così come descritto negli atti dei Concili. Si tratta di Terre, Casali e feudi compresi in due province del Regno: - Montefusco (in Diocesi di Benevento dipendente dall'Arcidiocesi Metropolitana di Benevento) - Lucera (Diocesi dipendente dalla Metropolia beneventana) .1 Torrioni ricadde nella nuova provincia di Montefusco. Partendo da queste considerazioni ci siamo spinti a ricostruire la storia, luogo per luogo, persona per persona, quindi elementi certi per ricostruire l'albero genealogico di tutte le famiglie di Montefusco, città del Principato Ultra nel 1700.
Ricchi e poveri di Avellino. I caracciolo, il principato, le prime famiglie della piazza Nata
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 164
Il primo principe fu Marino Caracciolo. Seguì Camillo Principe II successore di tutti gli stati paterni, il quale divenne ancora gran Cancelliero del Regno, e cavaliero del Toson d'oro. Hebbe tre mogli, la prima, Roberta Carrafa figlia del Duca di Mataloni; la seconda, Beatrice Orsina figlia del Conte di Muro; e la terza Donna Dorotea Acquaviva d'Aragona figlia del Duca d'Atri, con le quali generò molti figli, e essendo morto in Lombardia, mentre era Capitano generale della cavalleria napoletana, e che governava tutto il regio essercito, gli successe". I Caracciolo divennero forti e potenti, i signori più importanti del Regno dopo i Sanseverino. Furono a capo della Marina e della Massoneria, amarono il mare e la montagna, costruirono case e chiese, molto liberali rispetto agli altri, avendo ricoperto molti di loro il titolo di ministro plenipotenziario a Vienna durante il viceregno austriaco. "Nell'uscita di questa città verso Puglia sta posto il suo antico Castello, che dal Principe Camillo Caracciolo, è stato abellito, e magnificato, à pie' del quale si vede il Parco per la caccia di cervi, e altri animali, e un giardino abbondante di gran quantità d'acque fatte dal medesimo Prencipe venire per acquedotti da diverse lontane parti, ove in diverse maniere compartite si veggono formare varie fontane, che con belli, e ingegnosi artificij mandano fuori continuamente copiosissime acque non senza diletto, e meraviglia insieme di chi le mira, e vi è la seguente iscrittione nella Porta del detto giardino": Mulcendo per pacis Blanditias Marte Exercendaque per ludicra Martiis Pace Naturae, artisque ad oblectandum Certamina, In Amplissimo hoc Viridarij Theatro Sibi, suisque, Indigenisque, & addensi Paravit Martis delicum Pacis Praesidium. Camillus Caractiolus Abellini Princeps. § - Marino alza mura fra 2 Porte: Puglia e Napoli Il III Principe Marino Caracciolo figlio del II Principe Camillo e di Roberta Carrafa che "l'havea generato, il quale è terzo Prencipe d'Avellino, e medesimamente Duca della Tripalda, Marchese di Sanseverino, conte di Galeratu, e della Torella, signor dello stato di Serino e delle baronie di Capriglia e Lancusi, gran Cancelliero del Regno e cavaliero del Toson d'oro, e capitano di gente d'Arme. Il Principe Marino ebben due mogli, "la prima fu Lesa Aldobrandina, nipote, che fu di Clemente VIII sommo pontefice e sorella di Margherita Duchessa di Parma, e Piacenza, con la quale havendo generati alcuni figli morirono nella tenera età insieme con la madre. Dopo la cui morte si è casato il Principe Marino la seconda volta con Don Francesca d'Avalos d'Aragonia figlia del Marchese di Piscaria, e del Vasto, con la quale hà generato Carlo Camillo Duca della Tripalda suo primogenito". Avellino, venne "accresciuta di nuovi edificij tanto publici, quanto privati, e in particolare la rinchiusi i Borghi di essa, facendovi magnifiche porte, l'una dalla parte, che si va in Napoli, e l'altra alla strada di Puglia, nelle quali porte sono le sequenti inscrittioni: à quella ch'è nella porta della parte di Napoli si legge. Marinus Caracciolus Abellini Princeps III Explicatis latè minibus Inclitusq; suburbijs Urbem laxius Cives tutius Advenas laetius Omnes habuit munificentius Anno Salutis 1620 E nella Porta di Puglia. Marinus Caracciolus Abellini Princeps III Frugi liberalitate, Domicilia de suo sirvit Virginibus in dotem duit Urbem amplat Civem duplat Cascum, & recens, Portit morisq; clatrhat Sibi foeneranus, ac fuis Tum Vos à posteris Augere largitate Ditionem. Anno Domini M.DC.XX
Abecedario di Colle Sannita. Famiglie e ricerche genealogiche sul 1700
Fabio Paolucci
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 144
Fino al 1861 Colle era in distretto di Bovino di Foggia (FG) con le le strade, le chiese, i conventi, i preti, le monache, i frati dei luoghi del 1700: Piazza Pubblica, Porta di Rago, Casaleno delli Zingari, Casale, Portiello, Sopra San Giorgio, Dentro la Terra, Fontanova, Alla Nunciata, Porta quassù, Li Tufi. "Si ringrazia Angelo D'Emilia detto Linetto, Presidente dell'Associazione Culturale "Colle Sannita", per aver provveduto alla fotoriproduzione presso l'Archivio di Stato di Napoli degli otto volumi del Catasto Onciario di Colle Sannita, permettendo in tal modo il "ritorno in patria" di questo preziosissimo documento del nostro amatissimo paese. A Linetto va anche il ringraziamento particolare per aver seguito con attenzione tutte le fasi della realizzazione della presente opera, cimentandosi in prima persona nella ricerca sui fondi documentari dell'Archivio Parrocchiale di San Giorgio Martire di Colle Sannita e fornendo informazioni storiche preziosissime su personaggi e famiglie collesi, nonché sulle antiche strade del paese. Un ulteriore ringraziamento è rivolto a Giuseppe Martuccio di Colle Sannita, per aver partecipato insieme a Linetto alle fasi di indagine storica sui fondi archivistici collesi. Si ringrazia, infine, l'Associazione "Terrae Collis", di cui mi onoro essere vicepresidente, per il sostegno morale e l'incoraggiamento a proseguire gli studi archivistici sulla meravigliosa storia del nostro borgo d'origine. Il logo dell'Associazione Culturale "Colle Sannita" e la riproduzione dell'antico sigillo di copertina sono opera di Stefano Vannozzi di Cercemaggiore (Cb). L'immagine in copertina è una fotografia della piazza centrale di Colle Sannita, oggi dedicata a Giuseppe Flora padre dell'illustre letterato Francesco, risalente ai primi anni del Novecento. Dedico questo mio modesto lavoro alla mia terra, che porto sempre nel cuore!" (l'autore)
Lo scoppio di Pozzuoli. Tripergola e S. Spirito inghiottiti dal monte nuovo. 1538
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 146
Il terremoto che colpirà Pozzuoli, in realtà, aveva già dato i primi segnali, delle avvisaglie, la mattina del Sabato Santo, in quel di Napoli, come raccontano i cronisti. «Hora venendo l'anno 1538, et appripinquata la primavera stando le brigate la matina del sabato santo à gl'offici divini, et li sacerdoti legendo le profetie, venne all'improvviso un tal terremoto che sì per far cadere le chiese, e l'altri edifici, però che fu validissimo, et estraordinario. E e durò assai talché lasciati l'officio divini tutti spaventati se ne uscirno fuora de le chiese, e fu pericolo, che molti premendo l'uni à l'altro per la fretta non s'affocassero alle porte nell'uscire. Il che da savij fu per presago de futuri mali interpretati, onde le brigate remasero sbigottitei, e di mala voglia. Ne questo solo terremoto fu quello anno, perciò che venendo l'estate continui terremoti travagliorno Napoli, e Pozzuoli cossì lo giorno, come la notte, e massime nell'intrar del'autunno, in modo che molti per tema, che le case non cadessero a loro à dosso, dormivano per le piaze, e ne li campi. Ma come il sole entrò ne la libra, li terremoti furno più spessi e finalmente la sera precedente alla Festa di San Michele Arcangelo, e per dir meglio di San Gennaro, verso le due ore di notte, se sentì un valido terremoto, al quale seguì un gran tuono, come de molte bombarde sparate insieme, ne sapendi che rumore fusse quello, uscirono a le piazze le genti domandando l'un l'altro che cosa fusse. Ma non sterro molto in questo dubio, che furno chiariti da poveri pezzolani, che con le loro dobbe e figlioli a Napoli se ne fugivano, ma d'una continua pioggia de cenere, che fu tutta quella notte, e s'intese come sopra il Lago Lucrino, che Trepergola se dice, un tempo, era emersa una voragine, che haveva sollevata la terra a guisa d'un colle in alto e dindi apertasi, di sopra, haveva fatto quel tronitro, con haver mandato fuori fiamme di foco, e calliginosi nubbli di cenere, e pietre arse, e ch'il mare di quel lido s'era per molti passi retirato a dietro, perche quel spirito vehemente, e solfureo, che haveva tanto tempo scossa la terra passando per li luoghi cavernosi, bituminosi, e sulfure sotto la terra, e fatto perciò potente, et impetuoso, non havendo esito tale, che havesse possuto senza far altro molini esalare, ansò la terra in alto, e fe quella voragine, mandando fuori con eimpiti, sassi, fiamme, cenere, e caligine, che à guisa d'un gran arco celeste miccante de fiamme e faville s'alsava denso, e caliginoso, e volava per l'aria con continuo corso verso Levante.». Osservarlo e ascoltarlo, già la prima volta, fu un tutt'uno e conseguenza del fatto rivelatorio. Un fluire incandescente di pensieri, sillabe, frasi e parole il manifestarsi del logos; come immaginavo avvenisse sotto i portici dell'Accademia di Atene. Presentazione di Gianni Race. Introduzione di Andreana Illiano.
Eresie a Napoli post inquisizione: il figlio del re per giudice nelle Camere della Rota (1547-571)
Arturo Bascetta
Libro
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 132
Il terzo manoscritto: aggiunte e pasquini nell'istoria La vera chicca della III parte della cronaca della Historia del Castaldo con le aggiunge dell'Anonimo copista è sicuramente una figura sconosciuta agli storici che d'improvviso si intrufola nel Tribunale della Vicaria e gestisce alcuni casi penali in maniera autonoma sotto gli occhi increduli di cancellieri, giudici e reggente. È Ugedo, figlio «insano» di Filippo II, prossimo erede di Carlo V Imperatore, che la storiografia scorge lontano da Napoli, ma che in realtà le cronache di questo fantastico diario lo pongono fra i protagonisti della vita giudiziaria della capitale del Regno. Segue un'altra figura eccezionale, che già conosciamo, del fluido Principe di Salerno, il quale, con la sua modernità alla francese sfida tutto e tutti, raggirando anche i più scettici col «falso» parto della Principessa Isabella, per evitare la confisca dei beni ereditari. Sanseverino arriva a farsi beffa del Viceré, ma la coppia più amata del Regno pagherà con la vita l'essere stata ricca, felice e ammirata dal popolo, proprio per invidia di Toledo, non solo aggrappato al potere, ma sempre più spietato e vendicativo. L'attentato, la fuga, l'esilio, i dispetti: sono descrizioni che solo chi aveva vissuto da protagonista poteva fare all'abile scrittore che ce le tramanda, arrivando a descrivere il suo padrone alla corte dei nemici. E' un Sanseverino leggiadro, quasi di facili costumi ma anche dalla brillante intelligenza, pronto a sfidare Viceré e Imperatore, a stringersi alla corte del Re di Francia, a seguire il Solimano fino a Costantinopoli, e a dormire a lungo nell'harem del Gran Turco. Don Pedro sarà spietato nei suoi riguardi, volgendogli contro l'esercito per catturarlo, i giudici per la confisca dei beni e lo stesso popolo, facendolo dichiarare disertore e fuggitivo, traditore, lascivo e bisessuale. Ma anche il Viceré deve fare i conti con il fine vita, dopo una esistenza nel lusso e nel comando, perdendo senno e dignità al solo pensiero di essere stato mandato, dal suo Imperatore, a combattere Siena, benché malaticcio e innamorato. Torna Firenze nella storia di Napoli, con altre pagine di cronaca sulla Duchessa e su Pietro Strozzi, mentre «l'inconsapevole» Principe di Salerno, sulla via del tramonto anch'egli, ha aperto ormai le porte dei suoi ex stati all'invasore Turco. Lo sbarco del Pascià avviene a Massa e Sorrento, e lo stazionamento a Procida, mentre Carlo V saluta questo mondo e il figlio Filippo II che succede a Re di Napoli. Una sequela di Viceré e luogotenenti si fa strada sul trono, dove Ugeda, figlio storpio del nuovo sovrano, legalizza una «banale» tangente per favorire un vecchio procidano che lo intenerisce. È l'ultimo atto di questa terza parte dell'Historia che si conclude con un profilo sui governatori della Città, pronti a far applicare le prammatiche della giustizia. Non parlano più di «inquisizione», ma la parola d'ordine resta l'«eresia», quella che vede cadere molte teste, una dopo l'altra, mentre la Vicaria si fa bella con la stanza della Tortura e la stanza della Rota. Sabato Cuttrera
Eresie a Napoli pre Inquisizione: cronache su giudei, luterani, forusciti e nobili squartati. Gli editti contro l'eresia sono realtà
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 106
Questa prima parte del volume, come la seconda che seguirà, tratta delle cronache nude e crude sui malumori del popolo che portarono alla rivolta del 1547. Una carrellata iniziale sul secolo dell'opposizione religiosa immerge il lettore nelle cronache del Cinquecento, i giornali dei cronisti dell'epoca, che ci raccontano di una capitale oppressa dalla religione e dallo strapotere del Viceré spagnolo Pietro da Toledo, imposto dall'Imperatore Carlo V, che pure si era mostrato liberale a Napoli 'città fedelissima'. Le ragioni sono da ricercarsi nella crescente povertà dovuta alle guerre di religione e di stato che ancora richiedono la necessaria sedimentazione, specie tra Francia e Spagna, come in Tunisia. In fondo è un bel periodo solo per i dominatori, che si sollazzano fra i bagni di Pozzuoli e le corti locali, ma debiti, corsari e prestiti a strozzo sono il vero problema che faranno esplodere il popolo. La lunga premessa immerge il lettore anche in episodi 'leggeri' fra la parentela dei Toledo con il Duca di Firenze, l'amante a viceregina, il segretario dalla mano lesta, e lo stesso Viceré giocatore d'azzardo e sadico vendicatore. E così, il falso illuminismo delle nuove strade, delle statue nelle piazze, delle fontane zampillanti, contrasta con le centinaia di napoletani mandati alla forca o a ingrossare le sale della nuova Vicaria fatta costruire apposta per giustiziare i Napoletani, da accusare e torturare. Gli ordini nuovi vengono affissi nel duomo e parlano chiaro: ai laici è vietato parlare di religione. Ora il rischio di finire sotto i ferri della luccicante sala delle torture è reale. E saranno centinaia i Napoletani costretti a confessare peccati mortali inesistenti, per il macabro gusto degli ufficiali spagnoli di vedere squartati in pezzi i nobili di Napoli, fuoriusciti e filofrancesi. Le lettere, le poesie, la musica della Corte del Principe di Salerno, portata da Siena a Napoli, invidia del Re di Francia o del Gran Turco, vengono offuscate dalla sete di vendetta del Viceré che perseguita Ferrante Sanseverino fino a vederne morta la bella principessa, seppur amati dall'Imperatore. L'autore fa parlare copisti e cronisti, Miccio, Castaldo, Spiniello e gli anonimi: tutti a raccontare di un popolo sempre ribelle, a causa delle vendette subite, pronto alla guerra civile alla sola notizia dell'Inquisizione, già accusato del delitto di eresia, per essere sempre più lontano dalle imposizioni papaline. L'idea di non volere l'Inquisizione, covata sotto Papa Paolo III e agognata da Paolo IV, il più terribile della storia, porta il popolo, sentitosi tradito, a ribellarsi a tutti, perfino a scagliarsi contro i nobili che lo hanno utilizzato, accusato e tradito. Ma il Viceré colpisce tutti, editto dopo editto, mendicanti e gentiluomini, fino alla persecuzione del Principe di Salerno, colui che sognava un mondo di arte, di scienze e di natura. È la bellezza pura di corpi che si intrecciano e amoreggiano leggiadri alla falsa accusa di sodomìa, che è vera eresia.
Eresie a Napoli. L'Inquisizione 1547. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 136
È la vendetta del Vicere' Toledo, spagnolo spietato e vendicativo. La Cronaca ruota intorno alla rivolta del 1547, o meglio, ai danni causati dalla ribellione, scattata alla sola notizia di voler instituire il Tribunale della Santa Inquisizione. Non è ovviamente la rivoluzione di Masaniello del 1648, ma quella capeggiata da un suo omonimo, giusto un secolo prima. Il capo della Rivolta fu infatti tal Tommaso Aniello Sorrentino di Napoli che, in groppa a un amico, girò per i seggi della Città a radunare gente per la protesta nel nome del popolo e dei nobili. Fatto è che si dissociarono subito gli ufficiali della Vicaria, sebbene furono poi costretti a chiudere quelle carceri perché il Popolo, inneggiando al giovane e brillante Principe di Salerno intese spostare la protesta dal sordo Viceré all'amato Carlo V. Ma Don Petro approfitta della partenza di Don Ferrante Sanseverino e lancia le sue truppe a bombardare le povere case del quartiere più vicino al castello, uccidendo donne e bambini. Il popolo, invitato dal Priore di San Lorenzo, sede del Parlamento della Città, è costretto alle scuse per evitare la distruzione a tappeto. I nobili si discolpano e si tirano indietro, ma la vendetta cade subito su tre giovani rampolli fatti «squartare» in pubblica piazza. Sono in molti a ritirarsi, a cominciare dai deputati cittadini, capeggiati da Mormile che, in groppa a un ronzino prima solleva il popolo e poi dice a tutti di tornare a casa. La Città è costretta alla pace, ma l'odiato Viceré, preso di mira, scampa per un pelo a un attentato. Toledo alza il tiro e gli Spagnoli sparano sulla folla, in attesa di aiuti perfino da Firenze, pronti a colpire il popolo. Poi torna la ragione e si evita l'assalto della Vicaria da parte dei cacciatori Calabresi e dei fuoriusciti, di cui la città ormai è piena, pronti a farsi uccidere a decine. Finalmente Napoli s'arrende e giura fedeltà: il popolo consegna le armi e il Re invia l'indulto, trattenendo a corte il Principe di Salerno. Resta al suo posto con maggiori poteri il Viceré, pronto alla vendetta finale. Comincia infatti, scalzata l'Inquisizione, l'epoca delle eresie a suon di bandi, manifesti e trombette che per le vie della capitale preannunciano condanne per i laici che parlano di religione, per i luterani, e per i seguaci di Sodoma e Gomorra. Gli editti contro gli eretici si sprecano e le torture a danno dei poveri Napoletani anche. Chi viene messo alla corda, chi confessa, chi viene liberato e chi ucciso ugualmente, «squartato» o decapitato con la scure è solo un particolare. I nobili credevano di averla scampata, ma la spada del prorex spagnolo si abbatte su tutti. È sempre quella di Don Pedro, l'uomo che si è fatto raffigurare anche sulle medaglie che i supplicanti mostrano afflitti a Carlo V che le sfiora, sorride, e se ne va. Sabato Cuttrera